Allergia alla condivisione online, in tempo reale

Sono a tavola, di fronte a me un piatto da gustare con gli occhi: foto, da condividere subito o più tardi online. Ho appena finito di vedere un film: link e minirecensione pubblicata su Twitter o su Face-book. Leggo una notizia che vorrei altri leggessero e apprezzassero: link preso, commentato e condiviso in modi diversi e in orari diversi su Twitter, LinkedIn, Google+. Uno stato d’animo particolare mi pervade: trovo le parole giuste e lo condivido privatamente su Face-book, per attrarre conforto, avere opinioni o apprezzamenti.

Tutto ciò, in forma più o meno smodata, è quanto è stata la mia vita negli ultimi anni, tra alti e bassi, pause e momenti di sovraeccitazione e sovracondivisione, un po’ per uscire dalla solitudine di chi lavora a casa da solo, un po’ per rafforzare il personal branding di un libero professionista della rete, un po’ per conversare online con utenti e amici, vicini e lontani, con alcune affinità intellettuali.

Da inizio luglio ho deciso di fare a meno di Face-book, di ridurre o azzerare le condivisioni pubbliche di link e di opinioni. Niente più segnalazioni dei film visti o dei libri letti (comunque catalogati su IMDB e Goodreads), niente più foto online (da fine febbraio non uso più Instagram e non ne sento alcuna mancanza), niente più conversazione online, salvo sporadiche visite e risposte su Twitter, sul quale sto anche scrivendo un libro. Il resto delle conversazioni e delle condivisioni di momenti quotidiani avvengono su canali privati e paralleli.

Mi manca qualcosa? Mi sta costando fatica? Ne sto soffrendo? Tutto sommato no, è la risposta a queste domande. Face-book è una abitudine dimenticata e l’unica nostalgia è il contatto con amici lontani per cui Face-book resta il principale canale di relazione, effimero ma reale. Raccogliere mi piace su Face-book è qualcosa che apparentemente soddisfa nell’immediato, ma non lascia niente nella realtà dei fatti. Non cambia la realtà delle cose, anzi. Ti fa pensare che tutto sommato va bene così, quando non va.

L’essere sempre presenti, sempre attivi, sempre intelligenti, sempre arguti, sempre originali per capitalizzare ogni singola briciola di conversazione online da tradurre in capitale sociale, in personal branding, non solo sfianca, non solo finisce per essere alienante, ma è inutile. Stai una settimana senza segnalare nulla e vedrai che quelli che si dispiaceranno pubblicamente o privatamente si conteranno sulle dita di una mano o al massimo due. Gli altri se ne faranno presto una ragione o troveranno altri contenuti da consumare. Certo, il termometro di Klout finisce per scendere, ma è poi così rilevante? Ti cambia la vita? Considerando il povero livello di investimento nei social media in Italia, non è certo un punto in più o in meno su Klout che fa la differenza, no.

Lo stesso analogo ragionamento e risultato finale vale per l’immersione nel flusso, per abbeverarsi e informarsi. Non sento alcuna mancanza del flusso di aggiornamento, per lo più inutili, degli amici su Face-book, anzi! Sono diventato allergico, ormai da un po’ di tempo, a chi condivide tutto, anche pensieri che poteva tenersi per séo foto che non fanno altro che dire “sono vivo, lo vedi?”. Mi perdo tweet su tweet, anzi, ho eliminato profili su profili da seguire, scendendo a 200, e non soffro né di astinenza, né di sindrome da cattiva informazione. Mi sto perdendo qualcosa, certamente. Mi dispiace? Neanche un po’. Perdo contatto con il mio network? Amen. Su LinkedIn ho 110 richieste di collegamento da valutare, aggiuntesi nell’arco di 20 giorni. C’è urgenza nel valutarle? No. Nella maggior parte dei casi sono persone che vorrebbero fare leva sul mio network, senza alcun valore aggiunto per me, se non per loro. Possono attendere.

L’estate è la stagione giusta per prendersi una pausa, staccare, dedicarsi ad altro, vedere film, leggere libri all’aria aperta, uscire con gli amici lasciando il telefono in tasca o a casa. Non c’è bisogno di immortalare l’attimo fuggente e condividerlo con il mondo. Si può vivere senza, si può riscoprire una dimensione privata, non necessariamente monastica. Vivere non è condividere online. Vivere è dedicare il giusto tempo alle persone e alle cose che contano. 30 minuti in meno di Face-book, 30 minuti in meno di telegionale, 30 minuti in meno di quell’app per non perdersi neanche una notizie e 90 minuti in più da spendere in una passeggiata, nel silenzio, nella lettura di un libro (elettronico) senza interruzioni, in una conversazione di fronte a un drink.

Non sono diventato luddista, forse un po’ asociale come reazione ad anni di immersione costante, complici le mie attività professionali. Certamente tra un mese, complice un evento in arrivo, tornerà a twittare con più frequenza, ma non necessariamente tornerà attivo su Face-book o su Instagram. Se vuoi conoscere la dimensione privata di Luca lo devi cercare privatamente, online e offline. Condividere è bello, è utile, porta grandi vantaggi, ma l’eccesso di condivisione genera rumore, perdita di tempo e perdita di attenzione. Pensaci.

5 risposte

  1. A me è successo a febbraio 2012.
    Scheda blackberry saltata, problemi nella sostituzione.
    Dopo 3 settimane ho deciso che potevo fare a meno di tutto questo sn e il bb è vivo e vegeto ma chiuso in un cassetto della scrivania. Spento.
    Ho ridotto i miei contatti su fb a meno di 400 e ora mi sembra tutta un’altra cosa

  2. Avatar Celia aka Viperaviola
    Celia aka Viperaviola

    questo post sarebbe da condividere ma ne rinnegherei il fondamento della tesi…dilemma! 🙂
    Bravo, Luca

  3. C’è poco da fare, questo post va condiviso.
    Ciao,
    Emanuele

  4. Siete gentili, grazie 🙂

  5. L’anno scorso ho sperimentato anche io un’esperienza del genere e mi sono accorta che i ragionamenti via via si facevano più lineari senza questa nevrosi da notifica. Da allora una volta spento il pc dell’ufficio sono solo off line. E’ una piccola cosa ma mi trovo in linea con quello che scrivi http://lemillebolleblu.blogspot.it/2012/09/una-settimana-senza-che-mi-ha-dato.html

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