Volare, o no?

Nell’ultima settimana ho cominciato a interrogarmi seriamente sul peggior comportamento che un ambientalista possa avere, in termini di emissioni di anidride carbonica: viaggiare in aereo. Calcolando rapidamente le emissioni di 4 viaggi fatti a San Francisco, Los Angelese e Kauai, ho già superato 2,8 tonnellate di anidride carbonica emessa. Un abitante del Bangladesh emette 0,5 tonnellate in un anno. Posso dirmi ambientalista se prendo aerei come se fossero autobus? No.

Il libro di Greta Thumberg mi ha aperto gli occhi su questo. Il libro Atomic habits mi ha messo di fronte all’idea che per cambiare comportamento è necessario interrogarsi sulla propria identità. Se ho un’identità da ambientalista, questa non è conciliabile con le emissioni massicce dei voli in aereo. O una o l’altra. Considerando lo sforzo che ognuno di noi dovrebbe fare per ridurre le proprie emissioni, almeno per chi vive nei paesi sviluppati, la mia coscienza non è pulita. Urge un cambiamento e questo cambiamento è smettere di volare, a tempo indeterminato. No, compensare le emissioni comprando alberi da piantare da qualche parte non è una soluzione. Le emissioni dei voli avvengono adesso. La cattura di queste emissioni dagli alberi piantati, forse, avverrà nel prossimo futuro, quando sarà troppo tardi per impedire l’aumento della temperatura globale oltre una certa soglia.

Il tutto si complica perchénon volando più, viene meno (o viene messa in discussione) la mia identità di viaggiatore. Accantonando ogni destinazione raggiungibile con un aereo, con la comodità dell’aereo (tempo/denaro), vengono meno tante destinazioni che avrei avuto piacere di conoscere e di visitare. I due desideri non sono conciliabili e quello che prevale, per un senso di responsabilità verso gli altri, è l’identità ambientalista. Un conflitto interiore che mi ha fatto decidere di non volare più. Certo, senza aereo si può continuare a viaggiare, ma non allo stesso modo. Le mete esotiche diventano difficilmente raggiungibili e le culture più lontane diventano inarrivabili. Una riflessione per niente facile, che implica tante altre scelte. Aumentare il tempo passato in Italia, cancellare l’idea dei mari tropicali in inverno, ridurre la conoscenza di nuove culture.

Mi rendo conto di essere privilegiato anche solo per potermi permettere questo genere di ragionamento. Quanto spesso ragioniamo su questo privilegio? Chi si è preso la briga di misurare le proprie emissioni, anche a grandi linee?