Marketing, pubblicità e Web 2.0

Qui non si butta nulla, e ogni battuta sulla tastiera si ricicla finché può essere utile. Quella che segue è un’intervista via email appena rilasciata. Le domande riguardano marketing, aziende, pubblicità e Web 2.0. Che ne pensi?

1. Quali, tra gli strumenti del Web 2.0, stanno ottenendo maggiore attenzione da parte delle aziende che vendono beni/servizi di consumo? (social network, dirette web, YouTube, blog, motori di ricerca ecc.) Quali sono gli esempi più interessanti?

Difficile generalizzare e rispondere globalmente. In Italia, credo che Facebook e YouTube siano ormai parte della strategia di molte aziende, grandi, piccole e piccolissime: produrre un video o attivare un profilo su un social network è alla portata di chiunque abbia qualcosa da dire e un pizzico di creatività. Le aziende più evolute non fanno a meno di blog e, soprattutto, di Twitter, usato negli USA come un vero e proprio servizio clienti, monitorato dall’azienda in tempo reale. In Italia ci arriveremo presto: è solo questione di tempo.

2. Che tipo di prodotto funziona meglio per la comunicazione via Internet? Si parla spesso del target giovani, ma che ne è degli altri target? Il canale e le modalità di comunicazione possono adattarsi a diversi tipi di pubblico e prodotti? O alcuni beni/servizi continueranno a limitarsi al marketing tradizionale?

In Italia soffriamo del divario digitale, ormai quasi superato in termini di accesso, e del terribile divario culturale che tiene e terrà lontani da Internet milioni di italiani. Assisteremo a una forbice sempre più ampia tra consumatori televisivi passivi e consumatori attivi, molto attenti al web e ai media personali. In questo secondo gruppo si annidano gli influencer, quei consumatori che possono influire sui consumi con il passaparola. Un’azienda intelligente dovrebbe investire sempre più risorse per colpire questi ultimi. Limitarsi al bombardamento unidirezionale significa perdere competitività e, nel medio termine, mettere a rischio una posizione di leadership. Il messaggio dovrà essere sempre più crossmediale e adattarsi ai diversi media in cui si frammenta l’audience. L’era della campagna spot a pioggia in TV è finita. Funziona ancora per qualche prodotto, ma da sola non basta più.

3. A tuo parere, quali aziende o quali tipi di aziende sono attualmente più pronte a fare marketing 2.0 utilizzando al meglio le caratteristiche del web e dei singoli applicativi? C’è ancora un po’ di approssimazione o improvvisazione da parte di alcuni player? Rispetto allo scenario internazionale, a che punto stanno le aziende nostrane?

Le aziende più pronte sono quelle piccole, in cui le decisioni possono essere prese più rapidamente e dove ci si può permettere il lusso di sbagliare e riprovare, senza essere licenziati. Per paura di sbagliare si tende a ripetere ciò che ha sempre funzionato, ma i tempi che viviamo richiedono ben altro. Una struttura manageriale giovane, che dà fiducia a chi propone nuove idee, è senz’altro favorita in questo scenario. L’approssimazione poi c’è, da parte di tante agenzie tradizionali che applicano ricette vecchie con i nomi più in voga. Saper discernere il buono dal cattivo non è facile senza competenze acquisite in precedenza, con il rischio di giudicare male i nuovi strumenti solo perché chi li ha proposti non sapeva di cosa stava parlando. Siamo molto indietro come sistema Italia, ma possiamo recuperare in fretta, se solo lo volessimo.

4. C’è una reale consapevolezza delle opportunità, ma anche dei rischi connessi all’utilizzo di alcune possibilità del Web 2.0? Penso a Facebook, dove la possibilità di feedback immediato apre le porte anche a pubblicità negativa, oppure alla finta-democrazia di alcuni strumenti, o alle preoccupazioni connesse allo strapotere di Google…

No, la consapevolezza generalmente non c’è. Siamo ancora all’anno zero. Si seguono le mode e, a volte, ci si brucia. Chi ascolta, apprende, partecipa e dice la sua difficilmente sbaglia. Non bisogna avere fretta né partire senza capire cosa si sta facendo. Non è una soluzione restare alla finestra. Bisogna rimboccarsi le maniche, studiare e provare, imparando dagli errori propri e degli altri. Molti settori stanno per essere rivoluzionati dal web e da nuovi attori come Google. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è.

5. Ultimo punto: in un futuro vicino, è già possibile ipotizzare ulteriori evoluzioni dell’advertising sul web?

Certamente sì. Nei social network, la pubblicità tradizionale è poco efficace perché si appoggia poco sul vero valore di questi ambienti: la conversazione e l’intrattenimento, basati sulla relazione e sui contenuti. Ci stiamo divertendo, assistendo a questo cambiamento in corso, e continueremo a divertirci ancor di più. La pubblicità tradizionale ha tanto da perdere e, in alcuni paesi come Regno Unito, Giappone e USA, se ne stanno già accorgendo.


Aggiornamento 2025

Ho analizzato questo testo 16 anni dopo.

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