-88 Riflessioni sul tempo che passa

Nell’ultimo anno mi sono trovato più e più volte a ragionare sul tempo. Tutto è partito da un workshop sulla gestione del tempo che La Content mi ha chiesto di tenere in un sabato pomeriggio di febbraio. Nel preparare il materiale, che poi ha dato vita ad altre 2 iterazioni del corso, in forme e tempi diversi, mi sono interrogato sulla mia esperienza di persona organizzata che cerca di trarre il massimo dal proprio tempo, consapevole che passa e non torna più. Riflessioni cominciate in realtà anni fa, forse proprio nel momento in cui ho realizzato che passavo troppo tempo online sul social web. Il primo momento in cui ho capito che stavo esagerando era il 2009. Da allora, piano piano, ho cercato di togliere attenzione al social web, fino a cancellare profili e a sparire quasi dalla rete, a favore di altro.

Dieci anni fa ero meno tonico, avevo una dieta con poche fibre, molto zucchero, pollo e maiale, volavo come se prendessi l’autobus, camminavo ma non facevo esercizio fisico, avevo molti amici in giro per il mondo e per l’Italia ma pochi amici dove vivevo. Passavo tante notti fuori casa, esploravo nuovi mondi (per me), conoscevo culture ed esperienze diverse. Ero decisamente sovra stimolato a livello sensoriale: le relazioni online, le notizie a getto continuo, l’essere sempre immerso nel flusso social, computer sempre acceso, il bagaglio sempre pronto. Un periodo d’oro della mia vita, in termini di esperienze, ma se tornassi indietro, lo vivrei diversamente.

Forse proprio dall’eccesso è nato il bisogno di trovare nuove vie e da qui, passo dopo passo, sono arrivato a disegnare un’altra vita, culminata con il periodo pandemico in abitudini quasi opposte. Non prendo un aereo dall’agosto 2019. Non esco dai confini della mia regione e non dormo fuori casa dall’agosto del 2020. Sento il bisogno di cambiare orizzonte, ma quasi resisto. Sto così bene a casa mia, forse come non sono mai stato da quando vivo da solo. L’equilibrio non è perfetto e i margini di ottimizzazione ci sono ma sono appagato: coltivo le relazioni che contano sul piano locale, faccia a faccia, con esperienze pratiche; non viaggio nello spazio, ma viaggio con letture di autori da tutto il mondo e con il cinema indipendente globale; curo la mia salute psicofisica con una soddisfazione dall’ordinario che non è mai stata così elevata.

Sono in pace con me stesso, lavoro forse più di quanto dovrei e il mio tempo davanti agli schermi è tornato elevato, ma dormo bene e sono riuscito a tornare a non usare schermi durante i pasti. Posso rinviare la risposta a delle email, pur di godere di un paio d’ore di sole in orario di lavoro. Godersi la vita non è cocktail, cene, resort 5 stelle o una macchina di lusso, ma potermi permettere di leggermi un libro con calma sull’amaca alle 11 di mattina al sole o prendermi un caffè con un amico alle 8 di un lunedì e non guardare l’orologio. Ho una dieta sana che mi permette di sentirmi bene e in quelle settimane di quest’anno in cui non sono stato in forma, ho fatto i conti con la malattia e l’ho accettata serenamente, apprezzando ancor di più il tempo passato in salute. Per me non c’è uno scambio tra il piacere del cibo e l’investimento in salute. Basta cambiare punto di vista. Richiede un impegno, certo, ma bisogna volerlo.

Cerco di preoccuparmi del presente. Il passato è passato. Alcune scelte possono essere discutibili e la vita avrebbe potuto prendere una piega diversa, vero, ma non si torna indietro, quindi inutile rimuginare sul passato. Il passato è un concetto astratto. Il presente è molto concreto. Ciò che hai la facoltà di decidere è cosa fare ora. Non è un caso se quando decido di adottare un cambiamento non aspetto il primo dell’anno o l’inizio del mese, ma comincio subito. Il futuro è qualcosa da plasmare ed è bene, entro certi limiti, prepararsi (fondo pensione per esempio), ma non bisogna rinunciare a vivere il presente per un futuro che forse non arriverà mai. Il compromesso deve essere equilibrato e sostenibile. Lo dico a me stesso prima che agli altri. Poi lo so, parlo da una condizione di privilegio, perché ho una sicurezza economica costruita col tempo che mi permette di essere sereno e poter iniziare una mattina di un giorno feriale scrivendo queste righe, invece di correre dietro a clienti. La sicurezza economica aiuta a togliersi dei pensieri, ma per togliere molte altre preoccupazioni futili serve acquisire consapevolezza e la consapevolezza non si compra al mercato. Si acquisisce mettendosi in discussione e andando oltre ciò che fanno tutti o che hanno sempre fatto.

Lo spunto mi è venuto dall’aver concluso Four thousand weeks (4000 settimane) di Oliver Burkeman. Gestire il tempo è prima di tutto fare i conti con il limite e con il nostro essere finiti. Compreso e interiorizzato questo, ogni minuto è vissuto con uno spirito diverso.

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