Sto leggendo un libro che parla di emozioni: La mappa delle emozioni, scritto da un autore argentino e pubblicato da Giunti nel 2021, seppur sia stato scritto nel 2013. Sono appena all’inizio ma promette bene. La tesi del libro che è il nostro cervello limbico, quello primitivo, sia il responsabile di generare in noi emozioni, che poi la corteccia cerebrale media, interpreta. Il tutto avviene attraverso funzioni, che non sono altro che processi che coinvolgono i neurotrasmettitori e gli ormoni e ci fanno reagire in un certo modo, in automatico, quando succede qualcosa che attiva queste funzioni. Dal momento che non possiamo impedire al nostro organismo di provare determinate emozioni, ciò che possiamo fare è interpretarle e limitarle, se negative o inappropriate.
Il cervello limbico responsabile nel creare emozioni è il frutto di una evoluzione che non tiene conto dei ritmi e delle condizioni di vita dell’uomo moderno, perché la modernità non gli ha permesso di adattarsi ed evolvere in così poco tempo. Da qui la necessità di interpretare le emozioni con la parte del cervello più evoluta e gestire il nostro stato d’animo, con l’obiettivo di ribaltare quelle emozioni che ci frenano inutilmente.
Una prima funzione descritta è la ricerca di novità. Ciò che ci stimola a imparare, ad andare avanti, a esplorare il territorio. La dopamina va in circolo quando dedichiamo tempo a questa attività, associata alla creatività. Per questo nuove esperienze ci fanno stare bene: mangiare un cibo nuovo, visitare una nuova città, conoscere nuove persone. La routine all’opposto ci deprime, perché è ripetitiva e manca di nuovo.
L’insegnamento che ne traggo è duplice. Da un lato, come suggerisce l’autore, avere nella vita di tutti i giorni degli elementi di novità e di variazione ci aiuta a sentirci meglio e a non deprimerci. Quando non ci sentiamo mentalmente bene, tenerci occupati è la soluzione migliore. Dall’altro, dobbiamo stare attenti a chi sfrutta questa nostra caratteristica intrinseca a scopo di lucro, manipolandoci. Mi riferisco alle notifiche e ai meccanismi dei social network, che ci segnalano commenti e altre interazioni con i nostri contenuti, illudendoci che ci sia qualcosa di nuovo che richiede il nostro interessamento. Ciò vale anche per l’industria dei media che ci sollecita con le ultime notizie, l’ultimo film, il nuovo libro, le nuove uscite della settimana e potrei continuare. Sapere le ultime notizie minuto per minuto non ci rende più informati, ma ci distrarre. L’ultima uscita editoriale potrebbe essere ben peggiore di quanto l’autore ha pubblicato in precedenza: dobbiamo per forza cominciare dall’ultimo libro? La stessa cosa vale per i film: meglio vedere l’ultimo film appena uscito o recuperare un film premiato e di qualità, uscito pochi anni fa? I cinema hanno compreso questa possibilità e fanno uscire in sala film d’annata, perché restaurati recentemente o in occasione di anniversari.
La ricerca di novità va assecondata perché è parte di noi, ma va indirizzata in modo da non farci manipolare dall’industria dei media. Per questo ho cominciato a privilegiare libri usciti almeno 5 anni fa e ancora attuali, a smettere di essere immerso nell’attualità – niente telegiornali, niente programmi di approfondimento, solo le prime pagine dei giornali e qualche consultazione delle news online non oltre un paio di volte al giorno – e a limitare la pressione dell’industria culturale verso il nuovo. Un buon segno in questa direzione è l’aumento del fatturato del catalogo delle case editrici, a scapito delle ultime novità editoriali. Il fenomeno è collegato al passaparola su TikTok che privilegia libri vecchi – disponibili tra l’altro in formato tascabile più economico – ma di qualità. Questo dovrebbe essere il nostro nuovo mantra: promuovere la qualità, perché la novità può essere anche qualcosa di vecchio ma ancora valido.
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