Tre anni fa scrivevo un lungo post in cui annunciavo alla mia rete di contatti professionali che un cambiamento radicale era in corso. Non mi sarei più occupato di social media marketing, non avrei scritto libri di web marketing, non avrei insegnato sulle stesse materie. Croce sopra. Immaginavo anche un possibile percorso. Com’è andata?
Non è andata come potevo immaginare in quel momento. Mi sembrava una nuova strada quella del rapporto con le aziende per sviluppare iniziative di corporate social responsibility. Avevo sottovalutato il fatto di essere diventato allergico alla parola corporate. Quella strada non è stata quindi per niente battuta. Zero totale. Ho provato a immaginare uno sviluppo del filone relativo alla consapevolezza nell’uso della tecnologia e ho anche fatto un percorso con un coach, ma il risultato è stato insoddisfacente: non ci ho creduto fino in fondo perché i segnali che ricevevo e che ricevo è che il mercato non è pronto a servizi di questo genere. Si accontenta piuttosto dei pochi strumenti che gli stessi produttori mettono a disposizione per limitare gli eccessi, ma non ha alcuna intenzione di cambiare stile di vita. Un po’ come un obeso che ha un rapporto squilibrato col cibo e che non vuole cambiare stile di vita, perché il cibo gli permette di non pensare ad altri problemi. Lo smartphone, per i più che eccedono, rappresenta questo. Un antidoto, tossico, contro la solitudine, contro le frustrazioni della vita quotidiana e della vita moderna. Una fuga dalla realtà, ogni momento che se ne presenta la necessità. Non pensare ai problemi. Illudersi di avere dei contatti sociali quando si tratta solo di un surrogato con l’effetto opposto. Il punto non è rendersi conto, ma decidere di smettere, perché i più ormai se ne rendono anche conto. Quindi no, non c’è mercato. Non credo.
In mezzo c’è stata una lunga pausa in cui prima ho deciso di concentrarmi sulle relazioni e sulla ricostruzione di me stesso, rivedendo abitudini, relazioni, rapporto con il tempo, con la famiglia, con gli oggetti, col mio corpo, con le mie emozioni. Auguro a tutti di poter fermare il tempo, di interrompere il tran tran quotidiano per una settimana, un mese, un anno, e avere il tempo di ripensarsi e di reinventarsi. Un lusso che, in pratica, non ha nessuno o quasi. Appunto, tutto ciò è percepito come un lusso.
A un certo punto ho scoperto, nel mezzo della pandemia, le community chiuse a pagamento e i nuovi servizi che ne rendevano facile (o quasi) l’implementazione. Così è nato Saper Imparare e così è nata La Circle e la mia collaborazione con essa. Oggi la totalità del mio tempo social è su queste due piattaforme chiuse, che sento mie. Le interazioni sono limitate, ma di un certo tipo. Investo molto tempo nei contenuti e nello scambio in questi due spazi, molto oltre i ricavi monetari che ne ottengo, ma ci credo. Sono allineate entrambe con i miei valori, una è mia, quindi perché no? Prima lo facevo gratis, creando valore per piattaforme terze. Oggi il valore è limitato, ma è tutto per me. Vuoi mettere?
Un altro cambiamento è stato un hobby che è diventato più di un passatempo. Oltre a permettermi di stare meno tempo davanti a uno schermo, mi diverte. In certi momenti mi distrae, anche troppo, dagli altri progetti digitali, ma la sfida è sempre la stessa: trovare un equilibrio.
Nel frattempo anche Linkedin è andato. Ho disattivato il profilo. Della mia rete, che all’epoca contava 5300 contatti, ne sono rimasti veramente pochi. Erano contatti estremamente deboli, meno che conoscenti. Diverse centinaia erano contatti anche conosciuti, anni fa, ma persi inesorabilmente di vista. Se li incrociassi per strade, probabilmente non avrei neanche voglia di fermarmici a parlare: di cosa? Dei bei tempi andati? Del percorso di carriera? Non ho più niente a che spartire con quella gente. Se non fosse così, li avrei sentiti o mi avrebbero contattato, ma non è stato così. Qualche centinaio restano iscritti alla mia newsletter, ma non li sento più da più di sei mesi. Eppur avrei bisogno di tornare a sviluppare connessioni, far conoscere i miei progetti, fare networking. Faccio fatica ad aprirmi a sconosciuti, consapevole che i valori che mi rappresentano sono spesso diversi dalla massa. Sarebbe da farci un ragionamento a parte. Un altro giorno.
Certo è che, in questi tre anni, ho accumulato un bagaglio di esperienze a cui non avrei pensato allora. Per quanto tu puoi provare a programmare e a pianificare la tua vita, la vita finisce per sorprenderti sempre. Per questo considero un esercizio vuoto immaginare la tua vita tra 5 anni: certamente non sarai lì e neanche ti ci avvicinerai, perché nel frattempo sarai cambiato tu e i tuoi obiettivi. Meglio coltivare e sviluppare valori che, se curati a dovere, ti porteranno, loro, sulla strada giusta per te. Così è stato per me.
Oggi, molto più di 3 anni fa, sono più felice perché sento che la mia vita e i miei valori sono molto più allineati di quanto lo possano mai essere stati. La realizzazione di sé non è avere un lavoro ad alto reddito, un ufficio più grande, più potere, una casa più grande, una macchina nuova, una settimana in un resort di lusso, ma è alzarsi la mattina e sapere che la tua giornata sarà (in gran parte) impegnata a perseguire i tuoi valori. Non è facile, né semplice, né immediato, ma questo è ciò che significa per me vivere oggi, e anche lavorare.
Mark Manson, letto pochi giorni fa, ha scritto un passaggio in cui mi riconosco, nel suo “La sottile arte di fare come ca**o ti pare”:
È possibile che un sacco di gente ascolti tutto questo e poi dica qualcosa tipo: «D’accordo, ma come ci provo? Ho capito che i miei valori fanno schifo e che evito le responsabilità dei miei problemi e che sono uno stronzetto convinto che tutto mi sia dovuto e che il mondo ruoti intorno a me e a ogni mia seccatura, ma come provo a cambiare?».
E a questo rispondo, nella mia migliore imitazione di Yoda: «Fare, o non fare; non c’è “provare”».
Stai già scegliendo, in ogni momento di ogni giorno, per cosa sbatterti, perciò per cambiare è sufficiente scegliere di sbatterti per qualcos’altro.
È davvero così semplice. Solo, non è facile.
Non è facile perché all’inizio ti sentirai un fallito, un impostore, uno stupido. Sarai nervoso. Darai di matto. È possibile che te la prenderai con tua moglie o i tuoi amici o tuo padre nel processo. Sono tutti effetti collaterali del cambiamento di valori, o delle cose per cui ti sbatti. Ma sono inevitabili.
È semplice ma davvero, davvero difficile.
Vediamo alcuni di questi effetti collaterali. Ti sentirai incerto; te lo assicuro. «Dovrei davvero lasciar perdere? È la cosa giusta da fare?». Rinunciare a un valore a cui ti sei affidato per anni ti farà sentire disorientato, come se non sapessi più distinguere il giusto dallo sbagliato.
È difficile, ma normale.
Poi, ti sentirai un fallito. Hai passato metà della vita a misurarti in base al vecchio valore, perciò quando cambierai le tue priorità, modificherai il metro di giudizio e smetterai di comportarti come hai sempre fatto, non riuscirai più a rispettare i vecchi parametri di cui ti fidi e ti sentirai immediatamente un impostore o un nessuno. Anche questo è normale, e mette a disagio.
E di certo dovrai sopportare dei rifiuti. Molti dei tuoi rapporti sono costruiti intorno ai valori di un tempo, perciò nel momento in cui li cambierai – nel momento in cui deciderai che lo studio è più importante delle feste, che sposarti e avere una famiglia è più importante del sesso sfrenato, che fare un lavoro in cui credi è più importante dei soldi – questo dietro front si rifletterà sulle tue relazioni, e molte ti scoppieranno in faccia. Altra cosa normale e che ti farà sentire a disagio.
Sono effetti collaterali necessari, per quanto dolorosi, della scelta di sbatterti per cose diverse, cose più importanti e più degne delle tue energie. Nel riconsiderare i tuoi valori, incontrerai resistenze interne ed esterne. Soprattutto, ti sentirai incerto; ti chiederai se ciò che stai facendo è sbagliato.
Ma come vedremo, questa è una cosa positiva.
Lascia un commento