Il primo marzo di 17 anni fa aprivo le porte di questo blog. La mia candidatura al consiglio comunale della mia città stava per essere lanciata e sentivo il bisogno di uno spazio personale, dedicato a tutti quei temi che reputavo meno interessanti per il pubblico che avevo accumulato su Pandemia.info nel giro di un paio d’anni. Così ho registrato lucaconti.it, mi sono fatto aiutare per installare WordPress, e ho cominciato a raccontare momenti più personali della mia vita pubblica: la politica locale, interessi diversi da internet e tecnologia, successi professionali e personali, opinioni sull’attualità, viaggi, esperienze.
Nel tempo mi sono chiesto se avesse senso associare molti contenuti personali al mio nome e cognome, invece di usare questo spazio come una vetrina professionale, soprattutto quando ho cominciato a trasformarmi e diventare un professionista, che non si promuove più attraverso le piattaforme social. Ancora non mi sono dato una risposta e continuo a mischiare pubblico e privato, personale e professionale, con un asterisco. Dei 1234 post pubblicati, 199 sono diventati privati, perché a un certo punto ho preferito che quei post uscissero dalla sfera pubblica. Non per una questione di autocensura, né di vergogna o pentimento, ma perché è cambiata la mia percezione del concetto di privacy. Col tempo ho capito che vari soggetti, che mi giravano intorno, amavano farsi i fatti miei, il più delle volte dietro le mie spalle. Ho imparato la lezione e ho capito che certi affari era meglio tornassero a essere privati. Ho applicato lo stesso concetto alle mie foto online e non per nulla la metà di quanto presente su Flickr è privato. Meglio così.
17 anni sono poco più di un quinto della vita media di un uomo che nasce in Italia. Non avevo ancora 30 anni quando ho cominciato a scrivere qui, un po’ idealista, un po’ ingenuo, molto entusiasta di internet e delle promesse della democratizzazione dei media.
Oggi sono meno idealista, con molta più esperienza, cinico e un po’ disilluso. Internet ha cambiato il mondo, il social web ha permesso a chiunque di esprimere pubblicamente le proprie idee, ma il risultato non è stato quello sperato. Da un lato i limiti umani restano e non potevano che restare con l’avvento di nuove tecnologie. Molto ingenuo pensare il contrario. A questo si è aggiunto un nuovo sfruttamento, premeditato e pianificato, da parte dei monopolisti della rete, Google e Facebook in primis. Le debolezze degli utenti sono state sfruttate e amplificate, allo scopo di generare profitto. Dai al pubblico l’arena, il calcio, qualcosa con cui distrarsi e divertirsi e in cambio puoi fare quello che vuoi, o quasi. Come non ci si può disilludere in questo scenario?
Il blogging resta un esercizio valido allora come oggi. Un modo per esprimersi e condividere senza intermediari interessati o il dover aderire a regole decise da altri. Il prezzo da pagare è una frazione dell’attenzione che lo stesso esercizio avrebbe dentro i giardini recintati, ma la libertà non è mai stata a costo zero. Ogni scelta si paga, in un modo o in un altro. Continuerò a bloggare fino a che ne avrò voglia, anche fosse solo per esercitare il mio pensiero critico. Lo scopo non è la popolarità, di cui non me ne faccio nulla, ma l’esercizio della scrittura e del ragionamento.
Se hai un blog e lo hai negletto, ti invito fortemente a riconsiderarlo come uno spazio in cui esercitare il tuo pensiero, senza paura di essere letto e giudicato. Meglio sul tuo blog che in qualsiasi altro spazio sul web dove sei ospite di altri. Pensaci.
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