Riflessioni sul lavoro

A volte mi chiedo se mai riuscirò a inserirmi nel mondo del lavoro in maniera stabile e ordinaria. Sì, in questi due anni ho coltivato alcune collaborazioni e sono contento di questo. Mi permettono di generare un minimo di reddito che mi permette di pagare le bollette (pay the bills, come dicono gli americani). Ho avviato dei progetti personali in cui investo tante energie, ma non mi generano reddito e non so se mai lo genereranno. Per un semplice motivo: preferisco spendere del tempo in più per il mio benessere psicofisico, rinunciando allo sviluppo dei progetti e al denaro. Lo so, sono privilegiato, me lo posso permettere, ma è anche vero che il mio privilegio è anche il frutto di scelte consapevoli. Sono single, non ho figli, ho una casa di proprietà che non mi è stata regalata. Faccio a meno di tante cose che sono considerate ordinarie per molti, se non tutti. Senza che questo sia un sacrificio per me.

La parabola del pescatore e del turista mi si addice molto (Heinrich Böll). Forse anche troppo, per risvolti legati al vivere alla giornata. Arriverò all’età della pensione perseguendo questo stile di vita o a un certo punto rimarrò a piedi? La pensione a cui avrò diritto (statale e integrativa) sarà sufficiente? Le risorse di cui dispongo, a livello familiare, saranno sufficienti a gestire la vecchiaia dei miei? Mi pongo spesso queste domande e, pur nell’incertezza, non trovo alcuna spinta a dedicare più tempo al lavoro o a cercarmi clienti di un certo livello, per generare reddito aggiuntivo. Forse sbaglio, forse no.

La giornata di ieri è esemplificativa.

La mattina ho lavorato un’ora e poco più, retribuito, per poi dedicare il resto della giornata ad altro. Ho passato del tempo con un amico nella seconda parte della mattinata. Ho cucinato e pranzato con calma. Pomeriggio ho colto la bella giornata, ho fatto saltare tutti i piani, e mi sono messo a leggere un nuovo libro al sole, sorseggiando un tè con un dolcetto. A una certa ora (16,30!) mi sono messo a preparare cena, cucinando, ascoltando un audiolibro. In serata ho fatto un’ora e mezza di chiacchierata con un amico in videochiamata. Ho riordinato, per poi andare a leggere un libro a letto e ho chiuso che mancava poco alle 22.

Avrei potuto scrivere contenuti, pianificare del lavoro, preparare workshop, cercare clienti, acquisire nuove competenze, dedicare tempo al networking, promuovere la mia community. Non ho fatto niente di tutto ciò. Mi sono detto, come succede quando la giornata si presta a qualcosa di piacevole e non programmato, che questi lavori possono quasi sempre attendere ed essere spostati su domani. Così ho fatto e faccio. Certo è che, con queste priorità, i miei progetti personali stenteranno a decollare e il mio reddito non è destinato a subire miglioramenti significativi. Il termine carriera neanche lo uso perché mi sembra quasi una parolaccia. Perché dovrei voler fare carriera? Perché ho bisogno di soldi? No. Perché ho bisogno di un riconoscimento o di una validazione del mio io? No e semmai la cerco e la trovo altrove. Perché è il modo in cui si misura il successo in questa società. Non mi interessa. Perché il lavoro nobilita l’uomo? Forse, ma non necessariamente bisogna fare carriera per questo. Per avere un futuro migliore? Premesso che qualche soldo da parte ce l’ho, bene prepararsi al futuro, ma non a discapito del presente. Non è l’attimo presente ciò che conta dopo tutto, ciò che stai vivendo adesso? Il passato è passato e il futuro non è detto che arrivi, no?

Se non rispondo prontamente a una tua email, se sparisco per un po’, se non mi conformo alle regole non scritte delle relazioni professionali, ora sai il motivo. Preferisco dare priorità ad altre cose. Faccio bene? Faccio male? Questo è ciò che mi sento di fare, oggi. Un lusso che non sembra tale, ma lo è. Come il pescatore che pesca quanto gli basta e si gode la vita, anch’io cerco di dedicare al lavoro quanto basta, per dedicare il resto del tempo al godermi le piccole/grandi cose della giornata: vita intellettuale, vita sociale, benessere psicofisico. Ogni tanto mi interrogo sulle conseguenze, ma la risposta che continuo a darmi, ormai da più di 3 anni, è che va bene così. Sono fortunato e sono consapevole della mia fortuna.

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