La promozione delle minoranze

È evidente ormai come gli Oscar siano un altro mezzo per fare politica. Dopo anni di dominio dei maschi bianchi eterosessuali, l’Academy si è aperta a membri (e votanti) appartenenti a minoranze varie. Quest’anno, anche se non è il primo, si è visto palesemente come ciò che conta, almeno per certe categorie, è l’appartenenza a una minoranza. Gli unici in competizione, regista donna, attore sordo, attrice latina, attore di colore, film sui sordomuti sono stati premiati. Un risarcimento tardivo per tutti gli anni in cui gli unici nominati erano bianchi e gli unici premiati, salvo la categoria delle attrici, erano uomini. Con un asterisco. Non ci sono film non americani che hanno vinto qualcosa, se non nella categoria protetta a loro destinata, il miglior film internazionale. Nelle altre categorie sono usciti a mani vuote, perché l’Academy è in gran parte americana e non internazionale. Parasite è stato l’eccezione e non la regola. Quest’anno Flee, danese, avrebbe meritato un premio, ma non poteva competere contro Disney, che ha il monopolio dell’animazione, e neanche sul documentario, dove il premio è andato al racconto di una storia dimenticata della minoranza di colore. Notare poi che CODA, che ha vinto il miglior film e 3 statuette totali, è un remake di un film francese che negli USA è stato a suo tempo completamente ignorato.

Il messaggio è rispetto per le minoranze, e di questo non posso che rallegrarmi, sempre però nell’alveo della cultura americana. Su questo ultimo aspetto ovviamente non posso non sottolineare come sia un racconto molto molto parziale dell’arte cinematografica (e indirettamente del mondo e della società). Forse, senza forse, dovremmo smettere di considerare Hollywood (e gli Oscar) il punto di riferimento del cinema, considerare di più l’EFA (il premio equivalente europeo), a noi più vicino in termini di sensibilità, e soprattutto aprirci al mondo, con maggiore curiosità per altre aree geografiche, festival e premi relativi. I media li ignorano, convinti che il glamour e lo star system vendano di più, oltre al fatto che chi investe nella promozione (e propone contenuti, interviste, ecc.) è l’industria cinematografica americana, l’unica che ha risorse vere per oliare la macchina dei media. Il risultato è che le interviste promozionali sono con i soliti noti, le copertine idem e il gusto medio del pubblico, non solo italiano, è il fast food propinato da Hollywood. Nel caso degli Oscar è il panino firmato da Gualtieri, ma sempre di hamburger si tratta.

Degli Oscar si parla anche troppo. I cinefili veri dovrebbero guardare oltre, se si ritengono tali. Altrimenti è solo un teatrino buono a promuovere una certa visione del mondo, in cui non mi riconosco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.