Fingere il meglio possibile: Il peso delle aspettative e la ricerca di sé

“Com’è per gli uomini? Non ve lo so dire neppure adesso. Devono reggere il mondo senza mai mostrare la tensione; fingere ogni momento, fingere di essere forti, saggi, buoni e fedeli. Ma nessuno è davvero forte, saggio, buono e fedele. A ben vedere cercano tutti di fingere il meglio possibile.”

Andrew Sean Greer, La Storia Di Un Matrimonio

Come vivremmo tutti meglio se fossimo capaci di liberarci dalla gabbia del modello che qualcun altro – la chiesa, la cultura dominante influenzata dalla chiesa, le tradizioni della società agricola, il provincialismo – ha deciso per noi? Meno psicofarmaci, meno droga, meno alcol, meno illegalità, più salute mentale, più autostima, relazioni personali più vere, più realizzazione di sé.

Ognuno si trova a fare i conti con un copione non scritto, un’aspettativa silenziosa ma pesantissima su come dovrebbe essere la sua vita, le sue relazioni, persino i suoi desideri più intimi. Pensiamo a quanta energia sprechiamo ogni giorno nel tentativo di aderire a queste forme predefinite, spesso ereditate da epoche e mentalità che non ci appartengono più, imposte da voci esterne – la tradizione che non si discute, una certa visione del mondo tramandata come unica possibile, il timore del giudizio della comunità, specialmente nei contesti più piccoli e chiusi.

Questa fatica costante di indossare una maschera, di recitare una parte che non sentiamo nostra, di nascondere o soffocare parti fondamentali di chi siamo per paura di non essere accettati o, peggio, condannati… ecco, credo che sia lì la radice di tanto malessere diffuso. È un peso che logora. Spinge a cercare sollievo in modi che ci danneggiano, che si tratti di sostanze per anestetizzare il disagio, di farmaci per tenere a bada l’ansia generata da questa dissonanza continua, o di comportamenti che sfociano nell’ombra perché alla luce del sole non troverebbero spazio.

Immaginiamo, invece, cosa succederebbe se trovassimo il coraggio collettivo di mettere in discussione questi modelli. Se ci permettessimo, e permettessimo agli altri, di vivere con maggiore onestà interiore, di costruire legami basati sulla verità e non sulla convenienza o sulla facciata. Penso che vedremmo un crollo verticale del bisogno di fughe artificiali. Ci sarebbe più spazio per un benessere autentico, radicato nell’accettazione di sé e degli altri per quello che sono realmente. Le relazioni diventerebbero più solide, perché nutrite dalla sincerità. Ognuno potrebbe finalmente investire quell’energia, prima sprecata nella finzione, per costruire la propria, unica forma di felicità e realizzazione. Non sarebbe una vita più piena, più sana per tutti?

2 risposte

  1. Avatar kOoLiNuS

    Alla citazione manca un SEMPRE.

    Dovrebbe essere: “Ma nessuno è davvero sempre forte, saggio, buono e fedele.”

    Quelle qualità le abbiamo tutti, ma tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza, e sono quelli che dobbiamo accettare come parte della natura umana.

    Si finge di essere “sempre” qualcosa per una convenzione sociale, credo di essere daccordo… ma mi insegni che ci sono persone che se ne fregano e riescono a vivere la loro vita comunque.
    Se accetto di localizzare in provincia, in Italia, in un contesto la semplificazione fatta di questo concetto la trovo più apprezzabile. Enunciato come principio generale, invece, lo trovo un filo debolmente argomentato…

    1. Avatar Luca Conti

      Si tratta di un libro di narrativa dopo tutto 🙂

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