Sono a Erevan, Armenia, mentre scrivo queste parole. Per una serie di coincidenze sfortunate (tra la truffa e l’incapacità), nonostante abbia prenotato per tempo un appartamento risultato poi fantasma, mi sono trovato a dover dormire in un ostello per due notti. Me ne restano tre.
Ho dovuto anche cambiare ostello, perché nel primo ho prenotato una notte e per i giorni seguenti non c’era alcuna disponibilità. Nel primo ostello ho dormito in una stanza con due letti, il secondo occupato da un 22enne russo, studente di medicina a Erevan, con le lezioni appena cominciate. La prima cosa che mi racconta è che sono la prima persona con cui parla in inglese in un contesto che non sia una lezione e si preoccupa che lo possa capire. Parla con un forte accento, ma lo capisco benissimo. Continua raccontandomi le vicende che avevo intravisto sulle pagine dei giornali italiani soltanto il giorno prima: la fuga dalla Russia dopo la mobilitazione lanciata da Putin per la guerra contro l’Ucraina, con l’assalto agli aeroporti e tutti i voli per l’estero prenotati. Albert, questo il suo nome, mi spiega la dinamica di tutto ciò: tutti gli uomini fino a una certa età, incluso suo padre, hanno ricevuto un SMS che li invitava a presentarsi per un controllo delle proprie condizioni di salute ai fini susseguenti dell’arruolamento. La mancata presentazione a tale appuntamento prevede una pena da 10 a 15 anni di prigione. Il commento della madre di Albert, in un colloquio con il figlio, è stato: meglio 10 anni di prigione e uscirne vivi che andare in guerra. Buon senso, più che saggezza.
Ieri ho cambiato ostello, faticando a trovare un’altra sistemazione a un prezzo ragionevole. Inizialmente ho pensato che fosse dovuto all’incremento del turismo a Erevan, poi ho capito, anche perché più di una persona incontrata qui mi ha fatto lo stesso commento, che si tratta di russi usciti dalla Russia per evitare la potenziale coscrizione, non solo da questa settimana. Tutto ciò è così vero che il mio ostello sembra un campo profughi. Non so se i gestori, non proprio amanti del sapone, lo gestiscano sempre in questo modo, ma stamattina mi sono svegliato con un ragazzo a dormire con un materasso sul pavimento, nella mia stanza già piccola, e i proprietari a dormire nel corridoio con materassi sul pavimento. Il fatto che questi materassi fossero già disponibili mi fa pensare che non sono usati di rado.
Ciliegina sulla torta, per organizzare la giornata mi vesto e porto il computer sul tavolo esterno, a scrivere un po’, e ci trovo due ragazzi a lavorare col proprio computer. Fuori dal cancello c’è qualcuno che chiede di entrare, apro, e si tratta di un altro ragazzo, che saluta tutti cordialmente. Si tratta, guarda caso, di un russo, alla ricerca di un posto dove dormire – in questo momento sono le 8:53 del mattino – e scopro che anche gli altri due ragazzi sono russi. L’ultimo arrivato, senza alcun riferimento diretto, mi fa capire che è qui, insieme agli altri, per lo stesso motivo: evitare di essere chiamato per andare in guerra. Si presenta come uno specialista IT e mi chiede di che mi occupo. Sembra che tutti e tre i ragazzi siano in qualche modo lavoratori digitali. Mi racconta di essere venuto in Italia per una conferenza scientifica e di avere bei ricordi, tra Roma, Torino, Milano, Venezia. Io non gli faccio domande dirette che potrebbero metterlo in imbarazzo. Lui mi chiede della crisi del gas in Italia, se è vero che ci sono proteste pubbliche, e che cosa sta succedendo. Gli spiego brevemente la situazione e aggiungo le prossime elezioni imminenti. Breve ma piacevole conversazione di scambio. I russi gli fanno una domanda, lui si scusa e si mette a parlare in russo.
18:53
Non ho potuto finire di pubblicare il post per mancanza di tempo: sono dovuto scappare per un giro turistico fuori da Yerevan, previsto per le 10. La conversazione con il russo è continuata in relazione proprio alla situazione russa e così si è fatto tardi e ho dovuto chiudere.
La conversazione è stata per certi versi illuminante. Il russo, chiamiamolo Ivan per semplicità, in sintesi, mi ha illustrato alcuni elementi della propaganda russa, definendola propaganda: la protezione dei russi che vivono in Ucraina nelle province al confine, la necessità del referendum o pseudo tale in corso questo fine settimana, la fornitura di armi americane all’Ucraina come dimostrazione dell’interesse del complesso militare industriale nel volere la guerra contro la Russia. Al di là della propaganda, ha ben presente cosa sia la guerra e non ha nessuna intenzione di diventare carne da macello, perché conosce altri giovani che hanno partecipato alla guerra in corso. Poi mi ha chiesto cosa ne pensassi io. Ho cercato di essere poco conciliante con Putin e comprensivo, almeno parzialmente, verso il popolo russo. Ivan ha chiaramente espresso il desiderio di pace, di integrazione con il resto dell’Europa, che ha per altro in parte visitato, oltre l’Italia. Come tanti suoi concittadini in queste ore, ha preso un aereo per Yerevan ed è venuto qui, senza avere neanche un posto dove dormire, pur di varcare il confine. Ora dorme sul divano nel corridoio, chissà da quante ore. Deve essere esausto, soprattutto mentalmente.
Il termine della nostra conversazione stamattina è stato molto cordiale. Mi ha espresso il desiderio di poter restare in questo ostello, non solo per avere un posto dove dormire, ma per potersi confrontare con altri ospiti sulla situazione in corso.
Poco fa leggo le ultime sul Guardian e su Repubblica rispetto al seguito della fuga dei russi pur di non essere coinvolti nella mobilitazione in corso. Al confine della Georgia sembra ci siano 10 km di fila. Vari paesi dell’Unione Europea hanno sospeso i visti turistici con la Russia. La Finlandia sta accogliendo il doppio dei russi che varcano normalmente il confine. La Lituania si è detta contraria a ospitare i dissidenti russi. Quest’ultima notizia è stata anche commentata da Ivan, timoroso del nazionalismo di alcuni paesi europei. Gli ho spiegato che i paesi Baltici temono di essere i prossimi a dover fronteggiare un’invasione e per questo sono i falchi nello spingere a interrompere i visti d’ingresso ai russi. Ivan mi ha fatto capire però che queste ritorsioni, verso il popolo russo, rischiano di ottenere l’effetto opposto e di essere strumentalizzate dalla propaganda russa. Come dargli torto?
La situazione è complicata. Mio malgrado, senza grande disagio alla fine, sono finito a trovarmi in mezzo a questo momento storico. Considerando che questa fase della crisi non terminerà in un giorno, sarà interessante vedere a Tbilisi, dove mi trasferisco dal 27 settembre, cosa sta succedendo.
Questo viaggio, come tanti altri viaggi, è pieno di storie che mi piacerebbe raccontare. Dai giovani russi preoccupati della guerra ai turisti russi benestanti che neanche ci pensano, dall’influenza della lingua e delle aziende internet russe nel Caucaso – dove Yandex opera con servizi vari – ai diversi gradi di sviluppo dei tre paesi dell’area, dai tour in giro per Azerbaijan e Armenia gestiti alla buona e venduti sulla strada alla diffusione del ride sharing a prezzi da corsa in autobus, dai tanti ristoranti vegani e vegetariani all’età media molto giovane di chi vedi per la strada, dalla presenza elevata di lavoratori nomadi digitali a Tbilisi alla presenza innumerevole di caffè e bar in stile occidentale. Potrei scrivere una storia al giorno per un mese e magari lo farò. Intanto prendi appunti sul mio journal, in attesa di poterli sviluppare.
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