Oggi non ho fatto niente

Fare niente. Al termine di una giornata in cui siamo insoddisfatti, questo è ciò che diciamo: non ho combinato niente, non ho concluso niente, non ho fatto niente. Il niente ha, per noi moderni, un’accezione negativa. Non puoi stare senza far niente. Ogni momento, ogni giornata deve essere finalizzata a raggiungere un obiettivo, superare un traguardo, produrre qualcosa, generare reddito, ottenere qualcosa. L’idea del niente non è contemplata. Eppure ciò che ambiremmo a fare una volta che abbiamo ottenuto tutti i nostri obiettivi e risultati, ciò che facciamo in una giornata di relax totale, magari dopo una bella dormita e una bella mangiata, è proprio fare niente e ci piace!

Non so chi sia il responsabile di questo cambiamento di mentalità, che ci è stato inculcato da un certo momento della storia in poi, ma è evidente che si tratta di un tranello. Nel gergo comune è un insulto non fare niente: nulla facente che non sei altro! La retorica del lavoro, distorta ad arte, ha indubbiamente contribuito a convincerci che non fare niente non va bene. Il tempo libero, come scrive Luca Ricolfi ne La società signorile di massa, per essere impiegato in modo efficace deve essere attrezzato, ovvero non si può godere l’attimo, guardare il paesaggio da una panchina, godere della compagnia di qualcuno anche in silenzio, no. Dobbiamo spendere risorse per acquisire oggetti che ci permettono, apparentemente, di spendere il nostro tempo libero in modo più soddisfacente: un caffè da portarci dietro mentre passeggiamo, musica nelle orecchie in qualsiasi momento, un mezzo di trasporto per non andare a piedi e via così.

Il tutto stride ancor di più in un momento storico in cui il lavoro può essere demandato alle macchine o in qualche modo essere automatizzato, liberando almeno in parte il nostro tempo. Invece no! Non c’è una persona tra chi conosco che non mi dica di andare di corsa, per un motivo o per un altro. Soffrendone.

Questa riflessione, per niente originale me ne rendo conto, mi è venuta un giorno degli ultimi in cui, a fine giornata, mi sono detto, quasi triste, di non aver fatto niente. Eppure non ho sofferto, non ho fatto niente di male nel non fare niente. Avevo motivo quindi di essere frustrato, deluso da me stesso? No! Il verbo imperante della produttività, cavalcato anche dal sottoscritto per molto tempo, mi voleva far sentire male. Eppure non sentivo di dover stare male per non aver fatto niente, anzi. Ero contento.

Ho capito che ogni volta che leggo qualcosa che spinge all’essere più produttivi devo quasi fare l’opposto. Prima cosa, ovviamente, è smettere di leggere questi contenuti. Non voglio essere più produttivo. Basta! L’obiettivo è fare ciò sento di voler fare, nei tempi necessari, qualsiasi essi siano, senza fretta, senza corse, senza pressione. Se alla fine della giornata ho chiuso metà delle cose che avrei voluto chiudere, amen. Va bene così. Va bene lo stesso. La salute mentale e il benessere psicofisico sono più importanti della produttività. Sì, lo so, sono un privilegiato ad anche soltanto ipotizzare un discorso simile: non ho un capo, non ho vincoli imposti da terzi, non ho scadenze, non ho pressioni, se non quelle che impongo io a me stesso.

In pratica è ciò che ho deciso di fare in tutti i miei viaggi, a cominciare da quello appena concluso e quello in arrivo. Rifiuto di pianificare qualsiasi attività. Vivere alla giornata e alla scoperta, quasi casuale, con un minimo di indirizzo. Senza lista delle cose da vedere e da smarcare. Zero obiettivi. Libero di conoscere, libero di esplorare, libero di sedermi su una panchina in una piazza e guardare l’umanità che si affanna.

A rivedere cosa è successo in questi primi due mesi dell’anno direi proprio che ho vissuto una personale ribellione al concetto di produttività. Il processo di allontanamento dalle logiche di mercato – in cui per essere felici è necessario produrre, guadagnare, per poi spendere, accumulare, consumare – continua e non si arresta. Dopo aver letto Audit Culture mi sono ancor di più convinto che il concetto di misurazione applicato alla persona, salvo ambiti legati alla salute e alla prevenzione, è un concetto superfluo, anzi dannoso. Lo so, suona come un cambiamento di 180 gradi rispetto al Luca che, solo fino a pochi anni fa, misurava tutto: passi, ore di sonno, battito medio a riposo, film visti, libri letti, giornate in viaggio, aerei presi e molto altro. Oggi mi sono liberato di tutto ciò.

Se c’è qualcosa che dovremmo misurare, per aumentare l’attenzione e darci un obiettivo salutare, è il tempo che dedichiamo a non fare niente. Invece di essere più produttivi e spremere di più le ore di veglia, dovremmo espandere le ore dedicate al sonno notturno, al riposo diurno e al non fare niente. Questa è l’unica misura che mi darei oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.