Priorità che cambiano

A trentotto gradi non c’è più niente in me che sussurra «avanti». E non è forse questa l’essenza ultima del mondo, l’impulso che muove tutto quanto? Avanti, sempre avanti.

I dettagli

Quattro anni fa, nella primissima fase della pandemia, scoprivo il personal knowledge management e in particolare una nuova applicazione: Roam Research. Il risultato di 4 anni di scrittura, in alcuni periodi quotidiana, è un grafo molto articolato:

Passa il tempo e le priorità cambiano. Se tracciare è stata la mia ancora di salvezza nei periodi più bui, soprattutto durante e nel dopo pandemia, oggi non è più così. Continuo a importare in Roam i passaggi dei libri che leggo ma sono ormai un paio di mesi che ho perso l’abitudine di tracciare tutto il resto.

Un po’ come per la consapevolezza acquisita nel contare i passi, per cui non è più necessario misurarli per avere ben presente che mi fa bene camminare e andare a camminare, così anche per altri esercizi di tracciamento che ho svolto per lungo tempo.

Non ho bisogno di scrivere l’ora in cui sono andato a dormire e in cui mi sono svegliato perché vado normalmente a letto presto (ieri eccezionalmente anche prima delle 21) e mi sveglio presto, sapendo che quando non dormo abbastanza non sono al massimo della forma o che se bevo alcol poi non dormo bene e non mi sveglio riposato.

Ho anche smesso di tracciare le persone che incontro su base giornaliera perché ho ben chiaro nella mia mente chi si è perso, chi è andato, chi è rimasto, chi è arrivato nella mia vita relazionale dell’ultimo anno. Ho l’andamento degli ultimi 2 anni ben presente, grazie all’esercizio del tracciamento, e ora so trarre delle conclusioni, senza dover raccogliere ulteriori dati.

Non ho impegni o scadenze, continue o particolari, né liste di cose da fare, se non occasionalmente e per progetti specifici (=viaggi), ragion per cui posso vivere alla giornata e non aver bisogno di sistemi complessi per aumentare la mia produttività. Al diavolo la produttività. Il mio obiettivo è abbracciare il concetto opposto: non fare nulla, fare poco, rimandare, godersi il momento e del doman non v’è certezza. Faccio quello che è necessario fare e dove arrivo metto un punto. Non c’è nessuno che mi fa pressione e nessuno voglio che me ne faccia. Immagino che molti, leggendo questo paragrafo, mi invidieranno parecchio o magari faranno fatica a comprendere questa mia svolta.

Continuo a tracciare i film visti su Letterboxd, per praticità, ma non traccio più niente altro: né libri, né articoli, né video. Spotify sa i brani che mi piacciono e continua a darmi soddisfazioni nel suggerirmi musicisti che non conosco. Per il resto non ho bisogno di alcun algoritmo che mi suggerisca cosa vedere o cosa leggere.

Ho anche cambiato approccio sull’imparare. Non ho bisogno di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno. Abbraccio il pensiero (buddista?) del mio vecchio maestro yoga per cui la mente deve essere sgombra, libera e non piena di concetti che la appesantiscono. Più ci penso e più sono convinto che aveva e ha ragione. Non sapere va bene. Posso non sapere che succede oggi nel mondo e va bene così. Non ne ho bisogno. Non devo tenermi al passo di nulla. Se lo faccio sono consapevole che non è sapere, ma intrattenimento fine a sé stesso. Non ci sono conoscenze per essere a prova di futuro. Seguo con un occhio l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa ma con molto distacco. Preferisco libri che mi fanno immaginare a libri che mi vogliono insegnare qualcosa che molto probabilmente non mi servirà né ora, né mai. Mi interessa la conoscenza di immediata applicazione su me stesso e non per acquisire competenze per un futuro mercato del lavoro di cui non ho alcuna intenzione, in questo momento, di voler far parte.

Non ho più bisogno di tracciare ciò che mangio perché ho imparato cosa mangiare, so cosa mi fa star bene, so di cosa ho bisogno. Mi limito a tracciare peso/massa grassa/massa magra, più come rituale mattutino che altro.

Tracciare è un lavoro, un investimento sul futuro e tempo seduto alla scrivania. Oggi non voglio lavorare e non voglio stare seduto. Posso permettermi di interrompere l’investimento e riprenderlo, se vorrò, in un altro momento, quando ne percepirò un migliore ritorno. Chissà perché ma, riducendo il tempo seduto a battere sulla tastiera, si è ridotta anche la tensione muscolare al collo e alle spalle.

Sì, il non tracciare autori, titoli, temi, il non classificare, rielaborare ciò che leggo, il non scrivere più, come facevo anche solo pochi mesi fa, significa ridurre il valore e l’impatto di ciò che imparo leggendo, ma va bene così. In mancanza di un obiettivo specifico, posso permettermi di non rafforzare i circuiti neuronali delle esperienze degli ultimi e dei prossimi mesi. Lo ricorderò come un periodo volto alla leggerezza, al valorizzare l’esperienza quotidiana, nel piacere e nella noia, nella socialità e nella solitudine. La mia salute mentale tiene. Il tempo dedicato alla riflessione forse è persino aumentato.

In tutto ciò un cambiamento, ormai quasi ciclico, lo noto nel condividere. Con Internet condividere è entrato a far parte dell’esperienza quotidiana e collettiva. Prima lo facevo per email, poi sono passato al blog. Il blog è continuato per anni e anni, affiancato da Twitter, Facebook, friendfeed, poi di nuovo solo blog e Twitter e solo blog. A un certo punto l’avvento di Internet mobile e la diffusione della messaggistica istantanea ha avviato un nuovo percorso di condivisione personale e privata, uno a uno. Attività che continuo, a ritmi alterni. Conosco nuove persone, coltivo il rapporto intensamente, anche condividendo scoperte, media, esperienze. Poi quando mi rendo conto che l’interesse scema, anche la condivisione si riduce se non si azzera. Magari riparte, a distanza di tempo, o prende la forma della condivisione sul blog o sulle mie note private.

Quando la condivisione diventa eccessiva, una distrazione e un ostacolo alla concentrazione, torno a tenermi l’esperienza per me e a non condividerla più in tempo reale. La messaggistica istantanea è in realtà pigrizia, comodità, facilità di relazione, ma i contenuti che meritano di essere condivisi perché importanti sul piano della tempistica sono una esigua minoranza, per non dire prossimi a zero. Per la condivisione asincrona sarebbe più corretto usare la posta elettronica, ma chi la usa più? Era pratica lavorando al computer, seduto alla scrivania, ma dal tablet o dallo smartphone? Più facile il messaggio diretto, per non dire che di alcuni contatti più recenti non ho neanche altro riferimento oltre al numero di telefono.

Se devo fare una previsione sull’immediato futuro o, forse ancora meglio, su un futuro a lungo termine, immagino più una riduzione della condivisione, sia in pubblico, sia in privato. Più siamo tempestati di messaggi, live streaming, oversharing, più la mia risposta è tenere per me e per pochi eletti ciò che scopro e sperimento. Il mondo continua a girare senza di me, non ha bisogno del mio contributo. Il tempo saprà dire se la mia è una impressione del momento o una visione del futuro.

Il destino è lo sgelamento, l’entropia, con tutte le conseguenze del caso. Meglio farsene una ragione:

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