Torno a scrivere. Gli ultimi due mesi sono stati pieni, ricchi di esperienze. Così ricchi e intensi, incalzanti è la parola più appropriata per descriverli. Ho avuto poco tempo (e voglia, ovvio) – male, molto male – per rielaborarli, men che meno per tracciarli qui o sul mio journal/log. Provo a recuperare con alcune considerazioni, segnalazioni sparse. Più per me, per provare a metterle in fila, che per altro. Va da sé che potrai trovare qualche spunto di visione, di lettura e di analisi del presente. Oggi post sulla tv. Ne seguiranno su libri, articoli e altro.
Tele-visioni
Comincio dalla televisione anche se è l’ultima delle mie preoccupazioni, perché ci sono due perché che meritano di essere registrate e segnalate. La televisione, in questo contesto le serie tv, è per me un modo per analizzare il presente e avere un contatto, anche se parziale e marginale, con il mainstream. Non guardando la tv lineare, neanche nei suoi prodotti riproposti in streaming, né frequentando le piazze sociali, né leggendo la stampa italiana (se non per lo sfoglio delle prime pagine e poco altro), mi manca uno sguardo sullo stato del mondo in cui vivo (per altro recuperato, per ciò che conta per me, attraverso altri canali). Una parziale risposta a questa lacuna è la visione di serie tv di qualità, entrate nell’immaginario collettivo, anche se si tratta di prodotti americani e non italiani. Il collettivo va quindi inteso e ridotto a quella parte di popolazione che ha gusti più sofisticati e che si avvicinano ai miei.
Succession
Insisti e insisti, ho capitolato. Dopo la pressione di Massimo, la goccia che scava la roccia, a cui si è aggiunta quella di Daniel, ho visto le quattro stagioni du Succession, quasi una puntata al giorno, da fine giugno a inizio agosto. 39 puntate in tutto, di un’ora circa.
Una serie citata per la qualità e vincitrice di numerosi premi, quindi da vedere. Un tentativo precedente fallì alla prima puntata esattamente per l’oggetto della serie: l’ostentazione della ricchezza di una famiglia a capo di una delle società media più importanti del mondo, a New York (ho sviluppato una certa allergia alle storie di ricchi, bianchi, americani, peggio ancora se newyorkesi). Questa volta mi sono lasciato andare, cercando di concentrarmi più sulla dinamica di potere all’interno della famiglia che sull’ambientazione della storia. Tempo sicuramente ben speso. Serie che consiglio, se non fosse per una recitazione che a un certo punto sembra così reale da non pensare più che gli attori stiano recitando.
La scrittura è un altro punto di forza di Succession, soprattutto per dialoghi brillanti quanto verosimili. Non per niente mi sono scaricato gli ebook relativi alla sceneggiatura di ognuna delle stagioni e sono andato a rivedermi puntate e passaggi di puntate per confrontare la sceneggiatura con il prodotto finale. Esercizio molto istruttivo nel farmi comprendere come una sceneggiatura brillante può essere migliorata e resa più efficace da improvvisazione e cambiamenti durante la produzione. Non saprò mai quale sia stata la reale causa di alcuni piccoli quanto efficaci cambiamenti, ma la cosa importante è registrarli.
Detto questo, 39 puntate sono tante e, viste una dietro l’altra e non una a settimana con 12-18 mesi di pausa tra una stagione e l’altra, mostrano come anche sceneggiatori brillanti finiscano per ripetersi e rimettere in scena, quasi in un loop che non evolve granché, le stesse dinamiche nelle stesse occasioni, cambiando nome e location al ritrovo di tutti o quasi i personaggi. Divertente, coinvolgente, appassionante, ma alla lunga ripetitivo e (eresia!) noioso o quasi.
La colonna sonora è un altro punto di forza della serie. Il tema è quasi ipnotico.
Se vuoi immergerti:
Per apprezzare meglio il prodotto credo leggerò questo libro: Re Lear a Manhattan di Gianluigi Rossini.
Ho capito che la lunga serialità permette certo lo sviluppo dei personaggi e di una trama come non è possibile fare in un film, ma rischia, per la dinamica dell’ascolto e del successo, di generare una quantità di puntate e di stagioni in cui il rischio di allungare il brodo è quasi una certezza. Se lo è per Succession, figuriamoci per qualsiasi serie di medio livello. Comprendo la seduttività dell’appuntamento settimanale/quotidiano con i propri personaggi, perché nella quotidianità diventa un’ancora alla routine negativa della ripetizione del lavoro e della noia casalinga in cui poco succede, ma rinuncio volentieri a tutto ciò in favore di una storia diversa ogni volta, grazie a film internazionali, ambientati in paesi diversi, in lingue diverse, che mostrano culture diverse, selezionati e premiati a festival di tutto il mondo. Il tutto ha bisogno di un lavoro di selezione e di filtro superiore, ma la soddisfazione che ne traggo è di gran lunga superiore. Certamente un’ora di serie tv si inserisce meglio nell’agenda di alcuni giorni in cui rimane poso tempo per il relax sul divano, ma forse in quelle occasioni si può fare altro invece di guardare la tv.
Euphoria
Effetto negativo (o positivo) dell’appuntamento quotidiano con Succession è stato il desiderio di mantenere un appuntamento quotidiano con qualcos’altro e così ho cominciato a vedere Euphoria. Euphoria, altro prodotto HBO, è nota per aver lanciato Zendaya ed è il primo prodotto di grande successo di Sam Levinson, poi caduto nel trash seppur patinato con The Idol, serie uscita un anno fa, che ho visto, criticato e in parte anche apprezzato, nonostante non sia un prodotto ben riuscito, per tanti motivi che è inutile approfondire in questa sede.
Euphoria è composta di due stagioni di 8 puntate più un intermezzo di 2 puntate. Formalmente non è conclusa perché si vocifera di una terza stagione, annunciata, poi rinviata, poi sparita misteriosamente dai radar neanche avesse attraversato il triangolo delle Bermuda.
A oggi ho visto e molto apprezzato la prima stagione. Ciò che mi ha colpito di più, oltre alla scrittura dei personaggi – ogni puntata inizia con la descrizione di un personaggio nelle sue caratteristiche, da piccolo fino all’adolescenza, momento in cui si svolge la storia – è la fotografia, le luci, il montaggio e quindi la regia. Sam Levinson, non per niente, risulta creatore, regista, sceneggiatore e produttore della serie. Ogni puntata è meglio della precedente, fino all’ultimo capitolo in cui si rimanda lo spettatore alla seconda stagione.
Se Euphoria ha un pubblico da serie cult un motivo c’è e va vista per capirlo. Oltre a Zendaya poi altri giovani attori vivono un momento di gloria che li ha poi lanciati in altre avventure professionali. La serie è del 2019.
Nei prossimi giorni continuerò a esaurire le 10 puntate rimaste e vedremo se il livello rimarrà alto come la prima stagione.
Notevole resta la colonna sonora, curata nel dettaglio: ogni canzone ha un testo che descrive bene la scena in corso, insieme alla colonna sonora originale di Labyrinth. Dalla prima stagione mi è rimasta Same Girl:
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