Un anno fa ho chiuso con Twitter (o X, se preferisci). Oggi mi capita tra le mani un nuovo libro, uscito giusto ieri: Character Limit. La storia raccontata nel libro è l’arrivo di E. M. e la distruzione della piattaforma.
Leggendo le prime pagine del volume mi tornano in mente le ore passate a scrivere e a informarmi attraverso Twitter. In ogni momento di pausa o di noia, Twitter era la mia droga. Potevo scrivere qualsiasi cosa e in pochi minuti avevo qualche risposta o qualche reazione da parte dei miei follower. Un boost di dopamina garantito e immediato. Non per nulla ne ero totalmente assuefatto. Non aprivo alcun giornale online: andavo direttamente su Twitter a vedere le ultime o a ricercare una parola chiave (es.: terremoto) legata a una breaking news.
Nel tempo, ho perso il desiderio di condividere link e pensieri, ho trovato altre fonti di dopamina meno immediate ma forse più sane, ho smesso di cercare le breaking news, ho smesso di interessarmi a cosa sta succedendo nel mondo ora. Bisogni indotti, escluso quello di condividere, che continua in modo più limitato e privato. Non mi interessa più partecipare all’agora digitale. Mi sono perso, avendo smesso molto prima, la degenerazione del dibattito, tra urla, insulti e troll.
Considerando che, seppur ho chiuso il profilo un anno fa, ho smesso di partecipare attivamente anni prima, mi fa ridere come in certi ambienti, non ultimo il Financial Times (senza paywall), si discuta sulla necessità di abbandonare una piattaforma ormai al servizio politico del suo proprietario. Twitter è stata e continua a essere, soprattutto per chi lavora nel mondo dell’informazione e dei contenuti, una droga e come tutte le droghe dà dipendenza. Smettere richiede una forza di volontà non indifferente.
Non c’è antisemitismo, complottismo, idiozia che possa promuovere E. M.: se sei dipendente dai picchi di dopamina di Twitter, continuerai a usarlo.
Nota a margine. Ormai sono più gli amici che usano Twitter per consumare contenuti porno che quelli che lo usano per informarsi. Questa la dice lunga sulla trasformazione della piattaforma nel tempo.
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