Lo stile di vita e le esperienze passate

Contatti con il mio vecchio mondo, non ne ho quasi più. Il vecchio mondo è quello del marketing digitale e del social media marketing. Non frequento eventi, né appuntamenti sociali di alcun genere. Non leggo newsletter. Non leggo blog e non seguo profili social di persone che frequentavo in quel mondo. Non leggo notizie che si riferiscono a quel mondo, se non per titoli di notizie business & tech, direttamente alla fonte (= in inglese). Ho perso il contatto con queste persone e non mi manca.

L’ultima parentesi, post COVID-19, è stata la collaborazione con La Content, che mi ha esposto ad alcuni dei personaggi di quel mondo, invitati a eventi in cui ero anch’io presente o all’interno della community de La Content in cui ho partecipato professionalmente per un paio d’anni. Mi faceva specie interagire con persone che incarnano e vivono valori diversi dai miei, ma è stata un’esperienza interessante.

Oggi quel mondo non esiste più. Non lo percepisco. Non lo vedo, non lo vivo. Come se non esistesse. Me ne sono ricordato leggendo la newsletter di Domitilla Ferrari (ciao Domitilla!), forse l’unico punto di contatto rimasto in quel mondo. Domitilla, come suo solito, cita messaggi di persone che segue su X (=Twitter), segnala link di contenuti che afferiscono al marketing, parla di lavoro e carriera, consiglia oggetti da consumare e qualche libro da leggere. Tutto, più o meno, come ha sempre fatto.

Leggere tutto ciò mi ricorda quello che ero e che non sono più. Non ho profili social. Non dedico tempo a seguire vite di altri, né a criticarle, né a discuterle. Non sono più schiavo di piattaforme, che controllavo come prima cosa al mattino e come ultima alla sera. Non ci sono notifiche a interrompermi. Non ci sono modelli da imitare o seguire. Non sono esposto a pubblicità che colonizza silenziosamente il tuo cervello. Non vinco la noia scorrendo contenuti sui social. Non mi informo con le segnalazioni delle notizie fatte da altri, perché non ho bisogno di sapere tutto e di dedicare ore a leggere messaggi, articoli lunghi e corti, riflessioni personali, newsletter. Non ho bisogno di segnalazioni di film, di libri, di serie tv, di video online, di podcast, di eventi. Non ho bisogno di passare il tempo ascoltando podcast o guardando video su YouTube, su TikTok o altrove.

Se voglio imparare qualcosa lo faccio con le mie fonti, con i miei libri, cercando ciò che mi serve o mi incuriosisce dal patrimonio di conoscenza (anche i libri non letti e posseduti sono conoscenza) accumulato negli anni. Non con contenuti superficiali. Le informazioni le estraggo da solo, con i miei strumenti, dalle mie fonti. Articoli scientifici, ebook, video da canali selezionati e un numero di altre fonti via feed RSS filtrate e limitate.

Non mi ritengo migliore di chi investe il proprio tempo in modo diverso e ha valori diversi dai miei, espressi e modellati dai propri consumi culturali, dalle persone che frequenta, online e offline, da quello che vede e legge, da quello che mangia e beve. Mi ritengo migliore del Luca di 10 anni fa che non aveva ancora raggiunto il livello di consapevolezza che ha raggiunto il Luca di oggi, insieme alla serenità che ne consegue.

Non mi interessa discutere di affari, di lavoro perché il lavoro non è la mia vita. Non in questo periodo almeno. Mi piace discutere di argomenti che hanno un impatto sulla vita reale di tutti i giorni: salute mentale, vita sociale, nutrizione, benessere psicofisico, meditazione, sonno, identità personale. Commentare online il Festival o qualsiasi altro evento lo vedo come un momento sprecato a discapito di un film o di un libro che possono contribuire a tenere la mia mente aperta e il mio cervello attivo.

Sorrido pensando alla manifestazione online di persone che conosco, in cui mi imbatto occasionalmente, come per Domitilla o per altri. Noto la differenza tra le persone che conosco e che vedo e come appaiono online. Noto come coltivare il proprio personal branding, arrivati a una certa età, sia un lavoro che accelera l’invecchiamento. Mi fa venire in mente il personaggio di Annette Bening in American Beauty quando dice “per avere successo, bisogna avere un’immagine di successo” e la scena in cui chiude la porta della casa che sta cercando di vedere come agente immobiliare e si mette a piangere, mostrando il suo vero sé.

Rifarei tutto quello che ho fatto per arrivare dove sono, ma non vorrei mai tornare indietro. Sto bene nel punto del percorso in cui mi trovo, consapevole di esserci arrivato imboccando una delle strade in vari incroci della vita, con scelte e in qualche caso sacrifici. Avrei potuto scegliere una carriera aziendale, vivere in una grande città, fare un sacco di soldi, e poi? Forse non ci sarei riuscito neanche volendolo, ma il punto è che ho deciso di prendere altre strade, in maniera convinta.

Non anelo a una vita metropolitana, aperitivi alcolici dopo il lavoro, divano a guardare la televisione fino a notte tarda – Netflix o Raiuno cambia poco – e poi via di nuovo in auto nel traffico o a correre sui mezzi pubblici per raggiungere l’ufficio, ascoltando un podcast per rendere il tutto meno alienante.

Sto bene come sto. Non ho visto un secondo del festival. Non ho letto i giornali online. Non ho neanche avuto la minima tentazione di sfogliare le prime pagine dei giornali nazionali. Quest’anno sono a digiuno totale di ciò che cattura l’attenzione della maggioranza (relativa) degli italiani. Avanti così.


Divertente come napkin.ai, a cui ho dato in pasto il testo di cui sopra, mi abbia proposto questa sintesi con pro e contro.

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