Se c’è una di cui mi rammarico in questo viaggio in Sri Lanka è di non aver interagito con gli indigeni come avrei voluto. Tra ieri e oggi ho recuperato un po’.
Il viaggio in bus
Ieri ho avuto il sesto trasferimento di questo viaggio di circa 3 settimane in giro per lo Sri Lanka. Il quinto e più lungo in bus, anche questo con due cambi. Niente di particolarmente complicato, se non fosse che ho faticato a trovare e a prendere il secondo bus.
La prima parte è stata divertente. In questa occasione il bus era dotato di uno schermo video, oltre che di un impianto di amplificazione con vari altoparlanti. Finché il lettore DVD ha funzionato si sono alternati alcuni video musicali, poi si è interrotto. Il video è riparto con un marchio, Rare Tv, non so riproducendo un altro DVD o passando a un canale televisivo musicale. Nuova playlist di video, intervallati da pubblicità che ho visto anche sotto forma di manifesto. Tutte pubblicità di corsi di formazione (universitaria?) promossi con termini in inglese: Physics, Chemistry, Media, Accounting e non mi ricordo cos’altro. Da altre statistiche ho letto che il 92% della popolazione è alfabetizzato, media più elevata di altri paesi con lo stesso reddito pro capite. Probabile ci sia una fascia di popolazione molto numerosa in età da formazione e da qui la promozione di corsi vari.
I video musicali del primo DVD erano tutte canzoni, presumo singalesi, cantate da bambini di meno di 10 anni. Niente Zecchino d’oro. Queste erano vere e proprie star, con altri cantanti e altri ballerini intorno, nel video del concerto o del video musicale. Shazam si è rifiutato di darmi delle indicazioni. Ha risposto invece a uno dei primi video della seconda parte del primo viaggio e con mia sorpresa ho notato che l’artista del brano aveva ben 3 ascoltatori medi mensili su Spotify! La canzone è uscita il 25 Febbraio e aveva meno di 1000 riproduzioni, ok, ma 3 ascoltatori mensili è un segno chiaro del fatto che i singalesi non usano Spotify. Arrivo a Matara ed è tempo di prendere il secondo bus.
Il ragazzo al banco informazioni mi dice di attendere fuori dalla stazione e Google Maps concorda con lui. Attendo in quella che è una fila di tuk-tuk parcheggiati, con l’effetto di ricevere sollecitazioni ogni volta che uno parte e un altro prende il suo posto. Mi dico di pazientare. Passano i bus di tutti i numeri, ma non il mio.
Paziento ancora e poi un uomo si offre di aiutarmi. Mi chiede dove sono diretto e poi mi vuole indicare la fermata del bus, dentro la stazione. Cosa ho da perdere? Un po’ diffidente, lo seguo ed effettivamente mi conduce al bus giusto. Il bigliettaio mi invita a salire e a prendere posto velocemente, con l’effetto che non riesco neanche a ringraziare l’uomo che mi ha aiutato. Il tipico bus che collega tutte le città della costa meridionale tra loro, fino a Colombo, la capitale, ha una configurazione con un corridoio centrale, due posti a sinistra e tre a destra. I posti sono abbastanza stretti. La cappelliera è per zaini piccoli e il mio trolley (bagaglio a mano rigido da aereo) non entra. L’unico posto dove posso infilarlo è dietro il doppio sedile vicino alla porta posteriore. Lì lo piazzo e mi siede dall’altro. Il bus parte e si riempie velocemente e vari passeggeri stanno in piedi.
Una signora sale e sta in piedi vicino a me. Potrebbe essere italiana o europea. Al momento dell’arrivo del bigliettaio ha i soldi già pronti, ma l’uomo chiede una cifra diversa. Lei si arrabbia. Lui ci prova. Lei si arrabbia ancora di più avviando un dialogo in inglese di cui ho compreso solo una parte, non comprendendo l’inglese del singalese. “Sei scorretto perché mi chiede più soldi solo perché sono bianca! Vivo qui da 5 anni, non mi puoi fregare!” Il tono concitato. Il bigliettaio continua a prendere soldi da altri passeggeri e ogni tanto si rivolge a lei dicendo qualcosa che non capisco, del tipo “stai zitta”. Lei si arrabbia ancora di più e ripete quasi ossessivamente “non puoi trattarmi così, io sto zitta, ma sei tu che mi provochi, stai zitto tu!”. All’ennesimo siparietto vari passeggeri si girano e si guardano tra loro come per dire “ma che succede?”. Lei inviperita, si mette a chattare freneticamente sul telefono e poi prova a chiamare qualcuno. Quando parla si mette la mano davanti alla bocca e non sento né che dice, né che lingua usa. Dopo un po’ scende, dopo aver battibeccato ancora un po’ col bigliettaio.

Viene il mio turno di pagare e per la prima volta il bigliettaio mi stampa un biglietto vero e proprio con la destinazione e il prezzo, anche se la stampante termica non stampa bene. Mi sembra strano che il costo sia solo 337 rupie, praticamente 1,1 € per un viaggio di circa 100 km. Per tratte più brevi mi hanno preso 200 rupie, probabilmente arrotondando assai. In ogni caso, per non cadere in errore, chiedo alla giovane coppia lui-lei di fianco a me di confermarmi che il prezzo è giusto. Lo è. Pago quando il bigliettaio ritorna, con 350 rupie. Mi dice qualcosa e sorride. Non capisco. Lo invito a ripeterlo. Poi capisco che mi voleva dire che non aveva il resto. Non mi sorprendo. Alla fine sono 13 rupie, meno di 5 cent di euro. Me ne posso fare una ragione. Dopo un po’ la ragazza vicino a me mi chiede se mi il bigliettaio mi ha portato il resto. Le dico che non l’ha fatto e va bene così.
Il viaggio è lungo. Il secondo tratto, quello di cui sto parlando ora, ha un tempo stimato di poco meno di 3 ore e circa 60 fermate. Una infinita, in una posizione non proprio comoda, ma comunque seduto, con lo zaino sulle ginocchia. Non posso vedere granché del panorama e spesso ho qualcuno in piedi che si appoggia alla mia spalla sinistra, ma fa parte dell’esperienza. I due giovani di fianco a me si mettono a vedere video singalesi su YouTube, probabilmente web comedy o qualcosa del genere. Con auricolari condivisi, senza disturbi audio. Un altro passeggero, quello seduto sopra il mio bagaglio, ha una videochiamata attiva con una donna su WhatsApp. Non si dicono nulla, ma il video rimane attivo. Il senso del tutto? Non mi è dato di sapere.
I viaggiatori sono quasi tutti giovani o studenti in divisa scolastica. La fascia del viaggio è dalle 12 alle 15, quindi ci sta. Il bus quasi sempre pieno, tra viaggiatori che scendono e altri che salgono. Il bigliettaio scorre su e giù nel corridoio, anche quando non è praticamente possibile passare. Poi quando arriva in fondo e il bus si ferma, lui scende e risale davanti. Oppure fa lo stesso quando salgono passeggeri dietro.
Scendere alla mia fermata è stata un’impresa più impegnativa di tutto il viaggio. Il bagaglio è incastrato sotto il sedile, la mia fermata si approssima, il corridoio è pieno, devo alzarmi, far sedere un altro passeggero al mio posto, muovermi verso l’uscita, suonare una specie di interruttore sul soffitto per segnalare la richiesta di fermata e tirare fuori il bagaglio nonostante lo spazio sia quasi nullo. Per fortuna che mi aiuta il signore seduto. Il bus nel frattempo continua la sua corsa a tutta velocità. Io con una mano tengo il bagaglio, per evitare che vada addosso a qualcuno, con l’altra mano mi aggrappo come posso, rischiando di cadere. La porta del bus, per la cronaca, è sempre aperta. Sarà per il caldo o per risparmiare tempo sul saliscendi, ma non è il massimo per la sicurezza durante il viaggio.
In ogni caso il bus ferma alla mia fermata, quando ormai non ci speravo più, riesco a scendere sano e salvo, per dirigermi nel mio alloggio a Benthota, dove mi aspetta un uomo che mi mostra la stanza e mi dà la chiave. Posso riposare.
La signora della frutta

Dopo avermi fatto una scorpacciata di mare ed essendo quasi a digiuno da tutto ieri – ieri niente colazione, cracker sul bus e a cena temporale tropicale che mi ha fatto desistere dall’uscire – stamattina rientro quando il sole è ormai a livelli da scottatura rapida e mi fermo in un negozietto vicino al mio alloggio. Alloggio che promuove la vendita di frutta e succhi. Noto 3 singalesi fermi a bere, buon segno. Chiedo un succo al mango. La signora, molto gentile, mi prende una sedia, mi fa accomodare all’ombra e mi chiede di attendere. Serve il conducente di tuk-tuk arrivato appena prima di me e poi viene il mio turno. Gli altri se ne sono andati e rimango solo. Mi prepara il succo, me lo porta e poi ci mettiamo a chiacchierare.
Ieri pomeriggio il negozio era chiuso perché la signora era andata dal dottore per il mal di schiena, poi quando piove in giro non c’è quasi nessuno e non ha riaperto. Altrimenti è aperta fino alle 22! Mi chiede di dove sono e poi “Milano?”. Curioso che la maggior parte dei singalesi, alla parola Italia risponde quasi in automatico Milano. Questione di conoscenti che lavorano a Milano? A dire il vero il proprietario di un ristorante a conduzione familiare mi chiese “Torino?” quindi non è detto. Quando rispondo che sono più vicino a Roma si fanno andare bene la risposta. Che lavoro faccio? La mia signora dov’è? Quando rispondo giornalista e single, per semplificare, la signora si avventura in un discorso che capisco per il senso, anche se non parola per parola. L’accento inglese/singalese è quello che è e la voce non è così alta da essere comprensibile anche quando passano bus o altri mezzi rumorosi. Siamo comunque a pochi metri dalla strada, all’aperto.
Il senso del dialogo è che una moglie/marito serve per la vecchiaia. Chi ci pensa poi a te? La signora mi rivela anch’ella di essere single e che 16 anni prima aveva un pretendente, ma poi non se n’è fatto niente. Forse lavoravano a Cipro a Larnaca e lei voleva tornare, lui no. “Voglio un uomo che stia qui”. Da questo più o meno ho capito il senso della rottura. Il problema della vecchiaia è reale. La signora ha un fratello, arrivato in motorino mentre me ne stavo per andare e una madre anziana, 77 anni, che comincia a perdere colpi. Il discorso che fa è sensato, soprattutto per lo Sri Lanka. Mi dice: le cose vanno bene per me, non sono ricca né povera, sto in mezzo. Oggi però va così e domani non si sa. Il senso è che bisogna vivere alla giornata e senza un marito che ti protegge dagli imprevisti economici, puoi passare dall’essere benestante a essere indigente in un attimo. Non ha usato queste parole, ma il senso del discorso era ben chiaro.
Dopo il succo chiedo 3-4 banane, come da mia consuetudine ormai. Ci sono vari caschi e mi chiede di che tipo le voglio. Mi propone le lemon banana e dico di sì, senza sapere che sono le solite bananine che piacciono a me. La signora prende un coltello e ci mette un po’ per tagliarne quattro, poi ne prende un’altra e me la dà per mangiarla subito. Non sa che io mi mangio quella e tutte le altre.
Nel frattempo si ferma un ragazzo, abbastanza giovane, che interagisce con le due signore e fa come se fosse a casa sua. Si mette a parlare inglese con me, che chiedo il nome di qualcuno dei frutti esposti. La signora anziana è in difficoltà, lui risponde per lei. Mi indicava un frutto, guava, che mai avevo visto. Prova a dirmi quanto costa al kg, pensando che li voglia comprare, poi quando ha capito che non è necessario, prende forse una busta e se ne va. Sul motorino lo attende una persona più anziana. Nel vedere che mangio la banana, fa lo spiritoso e mi fa un gesto con l’avambraccio. Mi dice che mangiare 3-4 banane ha un buon effetto sull’erezione. Sorride, accende il motorino, mi guarda e se ne va.
Questa felice interazione mi è costata qualche puntura di zanzara, ma ne è valsa la pena. La signora (la figlia) mi fa il conto, 350 rupie tutto incluso. Molto equa. La saluto e mi riprometto di tornare a provare qualche succo che non ho mai provato, come quello di wood apple, letteralmente la mela di legno. Ti farò sapere.
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