La tartaruga e il pescatore: racconti dallo Sri Lanka

Penultimo spostamento e ultima meta, prima del trasferimento in aeroporto e il ritorno in Italia. Mount Lavinia è un comune a sé ma confina con Colombo ed è praticamente parte dell’area metropolitana. La differenza rispetto alle località visitate in precedenza si nota: marciapiedi a margine della strada principale, due corsie per direzione, illuminazione pubblica (seppur limitata), più insegne luminose, più locali, più movimento, più vita.

La spiaggia, per altri versi, è una delusione. Non che mi aspettassi niente di che, ma è larga quanto sporca. Non è molto valorizzata, probabilmente perché alle sue spalle c’è molto spazio e la posizione non offre grandi vantaggi ai ristoranti sulla spiaggia. Ci sono un po’ di barche di pescatori e molti degli spazi sul mare sono occupati da baracche degli stessi pescatori.

La spiaggia è divisa in due parti, con un piccolo promontorio dove sorge il Mount Lavinia Hotel, di epoca coloniale. Albergo neanche troppo costoso, visto che su Maps viene offerto a 53 euro a notte. La parte della spiaggia più lontana dalla città, più a sud, è occupata da baracche di pescatori. Emerge un ristorante di pesce, in cui un singalese mi approccia appena spunto sulla spiaggia (a dirla tutta prova a chiedermi che mi serve, ‘Donne? Fumo?’).

Il Progetto Tartarughe

Poco più avanti un bar che funge anche da supporto a un progetto di conservazione di tartarughe marine. Una ragazza mi accalappia subito – di turisti ce ne sono ben pochi in giro e immagino sia molto facile notarmi tra gli indigeni – e mi invita a vedere una grande vasca con decine, forse centinaia di tartarughe nate da poco. Mi invita a vedere un’altra sezione del progetto in cambio di una donazione di 2000 rupie. Declino. Mi segnala comunque che più tardi libereranno in mare 500 di queste piccole tartarughe. Dice che di solito il rilascio è notturno, ma i pesci della zona si sono fatti furbi e se l’aspettano (???), ragion per cui le rilasciano in anticipo. Sarà vero o è solo perché i supporter del progetto vogliono partecipare al rilascio? Le voglio credere.

La lascio e cammino ancora un po’, ma torno indietro dopo poco perché il resto della spiaggia è una distesa di rifiuti. A dire il vero noto alcuni singalesi che abitano nelle baracche raccogliere alcuni rifiuti, ma è un’impresa titanica. Sarà la spiaggia più larga delle precedenti, ma una sensazione di sporcizia come questa non l’ho mai provata in quasi tre settimane qui in Sri Lanka. Torno indietro, giusto in tempo per la cerimonia di rilascio delle tartarughe.

Divertente seguire il percorso verso l’acqua dei piccoli animali. Ancora più divertente osservare la reazione dei bambini che, a un certo punto, impazienti di aspettare che le povere tartarughe vengano portate via dalle onde e cominciano a prenderle, una per una, per aiutarle ad andare in acqua. I bambini sono bambini, italiani o singalesi. Con meno divertimento e un po’ di sconcerto mi accorgo che anche qualche donna adulta, bianca e forse russa, prende in mano la sorte delle piccole creature volendole spingere verso l’acqua, un po’ con impazienza, un po’ con insolenza.

Tra l’altro, proprio ieri a Wadduwa, una ventina di chilometri a sud, il proprietario della guest house dove alloggio mi mostra alcune uova di tartaruga che si stanno schiudendo e alcune tartarughine appena nate.

Il progetto di conservazione sostanzialmente fa la stessa cosa che il figlio del proprietario della guest house ha fatto da solo. Ha comprato le uova raccolte da qualcuno sulla spiaggia e le ha tenute, fino alla schiusa, per evitare che qualcun’altro le comprasse per mangiarsele.

Tornando a oggi a Mount Lavinia, dopo alcuni minuti, le tartarughine hanno preso il largo, i turisti sono contenti, i bambini tornano a giocare tra loro in acqua, foto di gruppo e me ne vado.

Incontro con il Pescatore

Prendo la direzione del rientro quando un vecchio pescatore mi ferma e mi fa qualche domanda delle solite: di dove sei? come ti chiami? dove alloggi? come ti chiami? Poi parte con un breve riassunto della propria vita e della propria condizione: lo tsunami del 2004, la perdita della casa, la rovina finanziaria, la mancanza di indipendenza economica, la difficoltà a pescare perché il pesce viene preso in massa da pescherecci giapponesi e coreani. Visto il mio interesse, mi invita a visitare la sua casa, che sta proprio a 100 metri in linea d’aria, forse meno. Una casa di legno, che ha fatto da solo, dove vive insieme a moglie, suocera, figlio, nuora, nipote. Ci tiene a dire che è nonno. Mi offre un tè nero locale. Posso rifiutare?

Accetto. Mi mette una sedia con vista sul tramonto, si scusa e si allontana per qualche minuto. Nel frattempo altri membri della famiglia se ne stanno a pochi metri da me, seduti a chiacchierare e a guardare il mare. Arriva il tè, buono. Torna il pescatore. Continua la sua storia: quando la pesca va bene vivono di questa, quando non c’è pesce sono nei guai. Una volta i turisti, prima dello tsunami (??) – non mi torna, perché c’era ancora la guerra civile, almeno fino al 2009 – erano numerosi, poi sono diminuiti e ora ce ne sono pochi. Lì vicino c’è il Mount Lavinia Hotel, quindi è facile immaginare che ciò che dice sia vero. Continua dicendo che quando gli chiedono cosa possono fare per lui, lui li invita ad andare a comprare della frutta e del cibo. Capisco che si aspetta una donazione di qualche tipo. In realtà lo avevo compreso già dall’inizio. Posso biasimarlo? Che siano nel bisogno è evidente e il mostrarmi la casa da vicino è stato un chiaro segnale per farmi capire. Ci sta. Gli chiedo del suo inglese, più che buono tutto considerato. Mi dice che l’ha imparato dai turisti, da un Hello, è passato a un How are you? ed è andato avanti così. Sembra vecchio, ma non eccessivamente vecchio. Più consumato che vecchio. Gli chiedo quanti anni ha e mi risponde 53. Verosimile. In tutto ciò, i suoi familiari quasi mi ignorano. L’unica eccezione credo sia la nuora, che un po’ gioca col bambino che è curioso della mia presenza e un po’ mi parla in inglese senza che io riesca a capire. Ho quasi l’impressione che questo copione sia già andato in scena in precedenza e che non sono il primo turista a essere stato invitato a prendere un tè.

Il sole tramonta e io sento che è ora di andare. In un momento in cui il pescatore si distrae, prendo il portafogli e tiro fuori 2000 rupie. Avevo pensato di lasciargliene 1000, ma poi mi sono detto che non si sarebbe accontentato. La sua prima reazione è di insoddisfazioneYou don’t understand, dice, non hai capito – e prova a dirmi che sì, grazie, con 2000 rupie (1 euro = 315 rupie) può andare a comprare 5 kg di riso, ma magari con altre 1000 rupie può comprare anche un po’ di lenticchie dahl. In tasca non ho molto di più, ma decido di non dargli nient’altro perché arrivato al penultimo giorno ho pochi contanti rimasti e non voglio rimanere senza nel momento della partenza verso l’aeroporto o doverne cambiare altri all’ultimo minuto.

Il pescatore – devo dargli atto di essere molto scaltro – trova la soluzione: mi invita alle 14 di domani a mangiare da loro, con il riso comprato con i miei soldi, più dahl e un po’ di pesce. Vuole che gli dica che andrò. Ottima idea, la sua, così avrò sicuramente altro contante e potrò fargli un’altra donazione. Non gli prometto nulla, dico che proverò. Lui insiste, io non prometto. Comunque mi ringrazia per l’aiuto e cita anche Gesù.

Riflessioni Finali: Una Performance Antropologica?

Che dire di questa esperienza? Da un lato c’è chi salva le tartarughe e sostiene anche sé stesso con un progetto di conservazione e a 50 metri di distanza, anzi, tutt’intorno, vivono famiglie di pescatori in capanne di legno o di lamiera in situazione di povertà o comunque di precarietà. In tutto ciò ha fatto bene il pescatore a sfruttare la sua conoscenza dell’inglese e la sua vicinanza per raccontare la sua storia e, neanche troppo implicitamente, sollecitare un aiuto concreto, anche economico.

Detto questo, mi sono sentito un po’ parte di una performance in senso antropologico:

“performance” può riferirsi a comportamenti ritualizzati, a modi di agire che esprimono e rafforzano significati culturali e sociali

Il tutto, pur apparendo spontaneo ed estemporaneo, credo non lo fosse. Me ne sono accorto quasi dall’inizio, almeno da quando sono arrivato a casa sua e il resto della famiglia non si è sorpresa della mia presenza. Un film già visto. Una vera e propria performance, non alla prima replica. Forse il mio non conformarmi al ruolo che mi è stato dato, quello dell’occidentale abbiente che può dare e dà quanto è giusto, ha rotto l’incantesimo e ha generato una creapa nella sceneggiatura già scritta, non da me.

Domani non andrò alla seconda parte della performance e forse neanche in quella spiaggia, sapendo ciò che ci si aspetta da me.

Ultimo giorno e poi viaggio di rientro.

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