Gaza: abdicazione morale o logica imperiale? Fassin e Malm a confronto

Ho notato sullo scaffale virtuale due libri su Gaza usciti nei mesi scorsi. Moral Abdication di Didier Fassin e Distruggere la Palestina, distruggere il pianeta di Andreas Malm, già noto per il suo Come far saltare un oleodotto, tradotto anche in italiano. Ho pensato di usare l’IA per sintetizzare le opere e mettere le tesi degli autori a confronto.

Cominciamo dalla fine, da un dialogo immaginario tra i due autori, come se fossero sul palco di un salone del libro a presentare il proprio lavoro e a ragionare sul futuro della Palestina

Dialogo tra Fassin e Malm

Ambientazione: Un palco moderatamente affollato al Salone Internazionale del Libro. Siedono uno accanto all’altro Didier Fassin e Andreas Malm.

Didier Fassin: Grazie per l’invito. Credo che ciò a cui assistiamo sia una profonda, quasi storica, abdicazione morale dell’Occidente. Non si tratta solo di passività, ma di un consenso attivo, un sostegno politico, diplomatico e militare all’obliterazione di Gaza. Vediamo un’inversione dei valori che proclamiamo: chiedere un cessate il fuoco diventa antisemitismo, mentre si accetta una sproporzione disumana nel valore attribuito alle vite. Il linguaggio stesso è morente, manipolato per giustificare l’ingiustificabile, e le nostre istituzioni, incluse quelle accademiche, soffocano il dibattito critico in nome di una malintesa difesa di Israele, spesso confondendo strumentalmente critica politica e antisemitismo. Il mio focus è su questo collasso etico e intellettuale qui e ora.

Andreas Malm: Concordo sulla gravità e sulla complicità occidentale, professore Fassin, ma credo che definirla solo “abdicazione morale” sia insufficiente, quasi idealistico. Non è un semplice fallimento etico, è la logica stessa dell’impero che agisce. Come sostengo nel mio testo, questa è un’impresa transnazionale radicata in una storia molto più lunga, che parte almeno dal 1840, quando l’impero britannico usò la potenza del vapore, del carbone, per imporre il suo volere nel Levante e, contemporaneamente, concepì l’idea della Palestina come colonia strategica. La distruzione della Palestina e la distruzione del pianeta attraverso i combustibili fossili sono processi paralleli, nati dalla stessa matrice imperialista e capitalista. Non è una lobby a guidare gli USA, ma i loro profondi interessi strategici ed economici, legati storicamente al controllo della regione e delle sue risorse, oggi più che mai fossili, in cui Israele è uno strumento chiave, un “investimento”, come ha detto Biden stesso.

Didier Fassin: L’analisi storica che lei propone, tornando al 1840, è certamente affascinante e utile per comprendere le radici profonde. Tuttavia, non credo diminuisca la specificità e l’urgenza del fallimento morale contemporaneo. La velocità con cui i limiti etici sono stati infranti uno dopo l’altro a Gaza – gli ospedali, i civili affamati, le famiglie nelle tende – e la facilità con cui l’Occidente ha digerito o giustificato tutto ciò, richiede un’analisi centrata sulla crisi dei nostri sistemi di valori attuali, sulla manipolazione del discorso pubblico e sulla repressione del dissenso che vediamo oggi nelle nostre società. La strumentalizzazione dell’accusa di antisemitismo è un meccanismo chiave ora per permettere questa abdicazione.

Andreas Malm: Ma questa “crisi di valori” non nasce dal nulla. È funzionale agli interessi dell’impero. L’illimitatezza della violenza a Gaza è la stessa dell’estrazione fossile che ignora l’accordo di Parigi. Sono due facce della stessa medaglia distruttiva. E di fronte a questa violenza illimitata, cosa resta ai palestinesi? Lei parla, giustamente, di comprendere il contesto della resistenza, ma io vado oltre: la resistenza armata, quella condotta da Hamas, dal FPLP, dal Jihad, è l’unica forza che si oppone sul campo a questo genocidio, a questo tecno-genocidio volto anche a riaffermare la supremazia tecnologica umiliata il 7 ottobre. La sinistra occidentale deve smettere di esitare e sostenere questa lotta per l’auto-emancipazione, come ha sostenuto altre lotte anticoloniali in passato, anche quando comportavano violenza contro i civili del colonizzatore, come inevitabile conseguenza della natura del colonialismo d’insediamento.

Didier Fassin: Comprendo la logica della sua posizione sulla resistenza armata, specie considerando l’esaurimento di altre vie e la brutalità dell’occupazione, come la repressione della Grande Marcia del Ritorno. Tuttavia, mantenere una posizione etica richiede, a mio avviso, di non appiattirsi sull’idea che la violenza sia l’unica risposta o che tutti gli atti di resistenza siano ugualmente giustificabili. Il nostro sostegno deve andare primariamente al diritto dei palestinesi alla vita, alla dignità, all’autodeterminazione, e alla richiesta di porre fine immediata al massacro e all’assedio. Possiamo e dobbiamo denunciare l’oppressione senza necessariamente dover fare nostra ogni tattica della resistenza armata. Il modello sudafricano, per quanto imperfetto e diverso, ci ricorda che anche dopo decenni di violenza e apartheid, un percorso politico verso la coesistenza, basato su verità e giustizia, può essere possibile.

Andreas Malm: Il modello sudafricano includeva decenni di lotta armata condotta dall’MK! Non è avvenuto solo con negoziati. E la “verità e giustizia” non possono prescindere dallo smantellamento delle strutture di oppressione. Oggi, queste strutture sono l’occupazione sionista e l’infrastruttura fossile globale, entrambe difese dall’impero USA. Per il futuro della Palestina, vedo la necessità di una resistenza continua e multiforme, sostenuta da una solidarietà internazionale che non abbia paura di nominare l’imperialismo e il capitalismo come nemici comuni. La liberazione della Palestina è legata a doppio filo alla lotta per la giustizia climatica, perché entrambe richiedono di distruggere ciò che sta distruggendo loro e il pianeta. La speranza non sta nei rituali diplomatici vuoti, ma nella capacità di resistenza dei popoli e nella nostra capacità di sostenerla senza riserve.

Didier Fassin: La speranza, per me, risiede anche nella capacità umana di riconoscere l’umanità dell’altro, anche nel nemico, e nella forza del diritto internazionale e dei valori universali, per quanto oggi calpestati. Il futuro richiederà non solo resistenza, ma anche la difficile costruzione di istituzioni giuste e la volontà di ricostruire un linguaggio comune basato sulla verità e sul riconoscimento reciproco. La sconfitta morale dell’Occidente oggi è profonda, ma proprio riconoscerla può essere il primo passo per immaginare un futuro diverso, dove le vite palestinesi contino davvero.


Abdicazione morale

Didier Fassin analizza l’abdicazione morale occidentale nel consentire l’annientamento di Gaza, manipolando narrazioni, silenziando il dissenso e svalutando le vite palestinesi dopo il 7 ottobre.

Le idee chiave

Entriamo dentro le tesi di Didier Fassin. Tra parentesi il capitolo di riferimento.

La Cecità Morale Globale sulla Questione Palestinese

  • Descrizione: Analizza la diffusa accettazione, o addirittura il sostegno attivo, da parte delle potenze occidentali e dei loro intellettuali, all’annientamento di Gaza seguito all’attacco del 7 ottobre 2023. Evidenzia un grave fallimento morale e un’inversione dei valori proclamati, paragonabile a una sconfitta morale storica.
  • Punti Chiave:
    • Il consenso, sia passivo che attivo, all’obliterazione di Gaza ha creato un enorme divario nell’ordine morale globale, che verrà registrato dalla storia come un sostegno alla distruzione. (Prefazione)
    • La realtà statistica che le vite dei civili palestinesi valgono centinaia di volte meno di quelle dei civili israeliani è diventata accettabile per molti leader politici e intellettuali occidentali. (Prefazione)
    • Si assiste a un’inversione dei valori, a una derelizione politica e a un collasso intellettuale di fronte all’annientamento di un territorio, della sua storia e dei suoi abitanti, spesso incoraggiato. (Prefazione)

La Manipolazione della Storia e della Narrazione

  • Descrizione: Esamina come la scelta del punto di partenza narrativo (il 7 ottobre vs. la storia dell’occupazione) influenzi radicalmente l’interpretazione degli eventi, disumanizzando una parte e negando le responsabilità dell’altra. Sottolinea l’importanza di contestualizzare storicamente il conflitto.
  • Punti Chiave:
    • Iniziare la sequenza degli eventi il 7 ottobre 2023 elude la storia, presenta la violenza palestinese come pura barbarie irrazionale e assolve lo stato israeliano da ogni responsabilità nella genesi degli eventi. (1)
    • Invocare la storia dell’occupazione, del blocco, delle violazioni dei diritti e delle umiliazioni quotidiane aiuta a comprendere come una situazione insostenibile possa portare a una ribellione, anche se violenta. (1)
    • La formula “Guerra Israele-Hamas” è fuorviante perché ignora la lunga storia del conflitto pre-7 ottobre e maschera il fatto che l’assedio israeliano colpisce l’intera popolazione di Gaza. (1)

Il Dibattito sulla Definizione di Terrorismo e Resistenza

  • Descrizione: Analizza la controversa categorizzazione degli eventi del 7 ottobre e, più in generale, la labilità storica e politica del termine “terrorismo”, spesso usato per criminalizzare nemici le cui lotte sono altrove considerate legittime, mentre azioni statali letali sono definite “controterrorismo”.
  • Punti Chiave:
    • L’attacco del 7 ottobre è interpretato in Occidente come un pogrom antisemita, mentre altri lo vedono come un atto di resistenza contro l’oppressione, evidenziando la politicizzazione delle definizioni. (1)
    • Storicamente, organizzazioni come l’ANC, l’Irgun e l’OLP, un tempo etichettate come terroriste da alcune nazioni, sono state successivamente riconosciute come movimenti di liberazione o partner politici. (2)
    • L’attacco del 7 ottobre ha brutalmente riportato la questione palestinese sull’agenda internazionale, da cui era stata esclusa da Israele e dai suoi alleati, nonostante il costo umano spaventoso. (2)

L’Accusa di Genocidio e la Risposta Internazionale

  • Descrizione: Si concentra sull’accusa di genocidio mossa contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dal Sudafrica, dettagliando gli atti (distruzione, uccisioni, assedio) e l’intento (dichiarazioni disumanizzanti di leader israeliani) presentati come prove, e la reazione della comunità internazionale alla decisione della Corte.
  • Punti Chiave:
    • La CIG ha riconosciuto la “plausibilità” del rischio di genocidio a Gaza, ordinando a Israele misure urgenti per prevenire tali atti, basandosi su prove di distruzione massiccia e dichiarazioni di intenti genocidi da parte di leader israeliani. (3)
    • Nonostante la decisione della CIG, molte potenze occidentali hanno continuato a sostenere militarmente Israele e a opporsi a un cessate il fuoco immediato, dimostrando disprezzo per l’organo giudiziario. (3)
    • La storica accusa di genocidio contro uno stato fondato in riparazione del più grande genocidio della storia solleva questioni profonde sull’uso e l’abuso della memoria storica. (4)

La Tattica di Legittimazione e Discredito

  • Descrizione: Analizza le strategie retoriche usate da Israele e dai suoi sostenitori per giustificare l’operazione militare a Gaza (diritto all’autodifesa, scudi umani, esercito morale) e per screditare ogni critica equiparandola all’antisemitismo, smontando tali argomentazioni con fatti e testimonianze.
  • Punti Chiave:
    • Argomenti come il “diritto all’autodifesa”, l’uso di “scudi umani” e l’essere “l’esercito più morale del mondo” sono usati per negare le responsabilità israeliane, ma sono smentiti dalle prove di attacchi indiscriminati e violenze documentate. (4)
    • L’accusa di antisemitismo viene strumentalizzata per silenziare critiche legittime alla politica israeliana, anche quando queste critiche sono simili a quelle mosse contro qualsiasi altro paese. (4)
    • La conflazione tra critica a Israele e antisemitismo ha portato a censura, autocensura, divieti di eventi e sanzioni in ambito accademico e culturale nei paesi occidentali. (5)

La Conflazione Tra Antisionismo e Antisemitismo

  • Descrizione: Critica la tendenza diffusa tra governi, media e istituzioni occidentali a equiparare la critica alle politiche israeliane o al sionismo con l’antisemitismo, limitando così la libertà di espressione e il dibattito democratico sulla questione israelo-palestinese.
  • Punti Chiave:
    • Governi occidentali, come quello francese, hanno ufficialmente dichiarato che “l’antisionismo è una delle forme moderne dell’antisemitismo”, limitando il dibattito critico sulle politiche israeliane. (5)
    • Questa conflazione viene utilizzata per impedire eventi, penalizzare accademici e studenti, e creare un clima di intimidazione che porta all’autocensura riguardo al conflitto israelo-palestinese. (5)
    • La Dichiarazione di Gerusalemme sull’Antisemitismo chiarisce che criticare il sionismo o sostenere i diritti dei palestinesi, incluso il BDS, non è di per sé antisemitico. (4)

La Disuguaglianza tra le Vite e la Parzialità dei Media

  • Descrizione: Denuncia la palese disuguaglianza nel valore attribuito alle vite israeliane rispetto a quelle palestinesi, manifesta nelle enormi disparità di vittime civili e nel trattamento mediatico parziale che umanizza una parte e disumanizza o ignora l’altra.
  • Punti Chiave:
    • Le operazioni militari israeliane a Gaza hanno prodotto tassi di mortalità civile palestinese centinaia (o migliaia per i bambini) di volte superiori a quelli israeliani, una disparità spesso ignorata o giustificata. (6)
    • I media mainstream occidentali mostrano una “compassione selettiva”, dando ampio spazio alle sofferenze israeliane ma minimizzando o ignorando quelle palestinesi, spesso usando un linguaggio squilibrato e adottando la narrativa israeliana. (6)
    • Mettere in dubbio le statistiche palestinesi sulle vittime, nonostante la loro comprovata affidabilità passata e la sottostima intrinseca, costituisce una doppia punizione: negare la vita e poi negare la morte. (6)

Le Ragioni della Cecità Morale e del Sostegno Occidentale

  • Descrizione: Esplora le motivazioni complesse (storiche, geopolitiche, economiche, militari, ideologiche) alla base del sostegno quasi incondizionato dell’Occidente a Israele e della sua incapacità di riconoscere la sofferenza palestinese, includendo il senso di colpa per la Shoah, gli interessi strategici, l’industria bellica e l’islamofobia.
  • Punti Chiave:
    • Il sostegno occidentale a Israele deriva da un mix di senso di colpa storico per la Shoah, interessi geopolitici ed economici (normalizzazione, mercato regionale, fronte anti-Iran), e un forte legame militare-industriale. (7)
    • L’ostilità verso i musulmani e il razzismo anti-arabo, radicati nella storia coloniale e rinvigoriti dopo l’11 settembre, contribuiscono a una minore empatia per i palestinesi e a un maggiore sostegno per Israele. (7)
    • Il sostegno occidentale all’obliterazione di Gaza può essere interpretato come un’espiazione per procura della partecipazione occidentale al genocidio degli ebrei europei, anche a costo di infliggere una seconda Nakba ai palestinesi. (7)

La Crisi della Coscienza e la Speranza per il Futuro

  • Descrizione: Riflette sulla profonda crisi morale e intellettuale che l’acquiescenza all’annientamento di Gaza rappresenta per l’Occidente, danneggiando la credibilità dei diritti umani e del diritto internazionale. Nonostante ciò, evoca una speranza futura basata sulla verità, la memoria e la possibilità di riconciliazione, ispirandosi all’esempio sudafricano.
  • Punti Chiave:
    • La vera crisi non è a Gaza, ma nel mondo occidentale che ha assistito passivamente o sostenuto attivamente l’annientamento, compromettendo la propria autorità morale e il linguaggio stesso dei diritti umani. (8)
    • Nonostante l’abisso attuale, l’esempio della transizione sudafricana dall’apartheid, basata su memoria, giustizia e parola, suggerisce che la riconciliazione tra oppressori e oppressi è possibile. (8)
    • Una storia futura, scritta dai vinti e basata su verità e speranza anziché menzogne e odio, restituirà voce ai palestinesi e significato alle parole, rivelando la “strana sconfitta” dell’Occidente. (8)

Cosa possiamo fare noi?

Alcune raccomandazioni estrapolate dal testo:

  • Cercare attivamente e amplificare voci marginalizzate, specialmente prospettive palestinesi escluse dai media mainstream occidentali molto spesso.
  • Insistere sull’applicazione del contesto storico per capire i conflitti, rifiutando narrazioni semplicistiche che iniziano solo con provocazioni recenti.
  • Sfidare l’abuso del linguaggio e chiedere precisione in termini come “terrorismo”, “autodifesa” e “antisemitismo” nelle discussioni pubbliche.
  • Sostenere media indipendenti che offrono prospettive critiche e indagano oltre le comunicazioni ufficiali governative o militari presentate al pubblico.
  • Difendere libertà accademica e di parola, opponendosi a tentativi di silenziare la discussione critica su questioni politiche controverse globalmente.
  • Resistere alla conflazione tra critica alla politica statale israeliana e antisemitismo, sostenendo il diritto alla critica politica legittima sempre.
  • Chiedere responsabilità per violazioni del diritto internazionale e sostenere istituzioni come le indagini della CIG e della CPI apertamente.
  • Mettere in discussione il valore differenziale attribuito alle vite umane e sostenere l’uguale dignità di lutto per tutte le vittime.
  • Riconoscere e combattere islamofobia e razzismo anti-arabo come fattori che influenzano politica estera e rappresentazioni mediatiche occidentali quotidianamente.
  • Essere consapevoli di come la colpa storica (come per l’Olocausto) possa essere manipolata per attuali agende politiche specifiche chiaramente.
  • Considerare metodi di resistenza non violenta come boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) come strumenti legittimi di pressione politica oggi.
  • Valutare criticamente narrazioni su “eserciti morali” e “scudi umani”, cercando sempre verifica indipendente delle affermazioni militari presentate ufficialmente.
  • Riconoscere il ruolo di interessi geopolitici ed economici (vendita armi) nel modellare posizioni di politica estera apparentemente solo morali.
  • Preservare la memoria e creare archivi di dissenso e verità soppresse per contrastare narrazioni dominanti per la comprensione futura collettiva.
  • Riflettere sulla responsabilità morale personale e collettiva di fronte a prove di atrocità di massa e complicità nel proprio contesto.
  • Sostenere movimenti studenteschi e attivisti che coraggiosamente sostengono giustizia e diritti umani nonostante affrontino repressione istituzionale significativa ovunque.
  • Considerare il modello di transizione sudafricano (verità, giustizia, dialogo) come un percorso potenziale, sebbene difficile, verso la riconciliazione futura.
  • Promuovere l’empatia cercando storie personali oltre le statistiche per capire profondamente l’impatto umano del conflitto sui singoli individui coinvolti.

No Other Land

Nel libro si cita anche il documentario che ha vinto l’Oscar per miglior documentario, oltre all’Orso d’oro a Berlino. Se non l’hai visto, recuperalo.

Nel testo, Didier Fassin cita il documentario “No Other Land” e i suoi registi, il palestinese Basel Adra e l’israeliano Yuval Abraham, come un esempio significativo di come le critiche alla politica israeliana vengano immediatamente etichettate come antisemite, specialmente in Germania, e delle gravi conseguenze che ciò comporta.

Ecco i punti chiave menzionati da Fassin:

  1. Il Film: “No Other Land” ha vinto il premio come Miglior Documentario alla Berlinale. Il film documenta la resistenza degli abitanti palestinesi di Masafer Yatta in Cisgiordania contro l’esproprio delle loro terre, la distruzione delle loro case e la loro espulsione da parte di Israele, girato in condizioni difficili a causa delle minacce dell’esercito israeliano.
  2. I Discorsi alla Premiazione:
    • Basel Adra: Ha espresso la difficoltà di celebrare mentre decine di migliaia di palestinesi venivano massacrati a Gaza da Israele e ha chiesto alla Germania di fermare le esportazioni di armi verso Israele.
    • Yuval Abraham: Ha sottolineato la disuguaglianza tra lui (sotto legge civile) e Adra (sotto legge militare) nella loro terra, definendo la situazione come “apartheid”.
  3. La Reazione Ufficiale Tedesca: Il sindaco di Berlino e il rappresentante del governo federale per la cultura hanno condannato le loro parole come “inaccettabili” e “antisemite”, caratterizzate da un “profondo odio verso Israele”.
  4. La Risposta e le Conseguenze per Abraham:
    • Abraham si è detto sgomento per essere stato demonizzato e accusato di antisemitismo da politici tedeschi, lui che proviene da una famiglia in parte sopravvissuta e in parte sterminata nell’Olocausto. Ha sottolineato come queste accuse svalutino il termine stesso di antisemitismo.
    • Ha dichiarato che queste accuse mettevano in pericolo lui e i suoi cari.
    • A seguito degli attacchi delle autorità tedesche, Abraham ha ricevuto minacce di morte in Israele, ha rinunciato a tornare nel suo paese e la sua famiglia ha dovuto essere evacuata dalla loro residenza.

In sintesi, Fassin usa questo episodio per dimostrare:

  • La forte tendenza, soprattutto in Germania, a bollare come antisemita qualsiasi critica alle azioni di Israele (come l’apartheid o le azioni a Gaza) o l’espressione della sofferenza palestinese.
  • Come queste accuse, spesso mosse dalle stesse autorità, espongano le persone critiche a pericoli reali e concreti, come minacce di morte e la necessità di fuggire.

Il punto di vista di Didier Fassin

Ho chiesto all’IA di identificare potenziali bias dell’autore, così da capire come la sua tesi sia influenzata dalla sua prospettiva. Vale per tutti gli autori, ovviamente.

  1. Bias Umanitario/Etico: L’intera argomentazione è costruita attorno al concetto di “abdicazione morale”. Fassin giudica le azioni e le omissioni principalmente attraverso una lente etica, basata sui diritti umani universali, il diritto internazionale umanitario e l’uguale valore delle vite. Questo potrebbe portarlo a sottovalutare considerazioni di realpolitik, interessi strategici nazionali o complesse dinamiche di sicurezza che altri potrebbero ritenere prioritari.
  2. Bias Progressista/Critico verso l’Occidente: Il testo è profondamente critico verso le istituzioni, i governi e le élite intellettuali dei “principali paesi occidentali”. Li accusa di ipocrisia, inversione dei valori, complicità e fallimento morale. Questa prospettiva critica verso il potere occidentale potrebbe portare a enfatizzare la colpevolezza occidentale e a dare meno spazio ad altre dinamiche o responsabilità nel conflitto.
  3. Bias Pro-Contestualizzazione Storica (Post-1967): Fassin insiste sull’importanza di non iniziare la narrazione il 7 ottobre, ma di considerare la storia dell’occupazione “soffocante” durata 56 anni (dal 1967). Questo specifico inquadramento storico, sebbene valido, enfatizza l’oppressione subita dai palestinesi in quel periodo, potendo dare meno risalto ad altri contesti storici (precedenti al 1967, la Nakba del 1948, la prospettiva israeliana legata all’Olocausto – se non per criticarne l’abuso).
  4. Bias Accademico/Intellettuale (Difesa della Libertà d’Espressione): Una parte significativa del testo è dedicata alla denuncia della censura, dell’intimidazione e della repressione del dibattito critico nelle università e nei media. Come accademico (Collège de France), Fassin ha un interesse intrinseco a difendere la libertà di parola e di pensiero, il che potrebbe portarlo a dare un peso particolare a questo aspetto come sintomo del “collasso intellettuale”.
  5. Bias Anti-Strumentalizzazione dell’Antisemitismo: Fassin dedica molta attenzione a come l’accusa di antisemitismo venga, a suo avviso, utilizzata impropriamente per silenziare le critiche legittime alla politica israeliana. Pur riconoscendo l’esistenza dell’antisemitismo, il suo focus è sulla sua “strumentalizzazione”, il che potrebbe essere percepito da alcuni come una minimizzazione del problema dell’antisemitismo reale legato al conflitto.
  6. Bias Strutturale/Sociologico: Da sociologo e antropologo, Fassin tende a concentrarsi sulle dinamiche sociali, istituzionali e discorsive: come il linguaggio viene manipolato, come le istituzioni reagiscono (o non reagiscono), come la “grievability” (possibilità di essere pianto) viene distribuita in modo diseguale tra le popolazioni. Questo potrebbe dare meno enfasi ad analisi puramente militari, strategiche o individuali.
  7. Bias Empatico verso le Vittime Palestinesi: Il testo mostra una chiara empatia per la sofferenza dei palestinesi sotto bombardamento, assedio e occupazione. Evidenzia la sproporzione delle vittime, la disumanizzazione e la negazione della loro esperienza da parte dei media occidentali. Questa forte empatia, sebbene radicata in principi umanitari, è una lente specifica attraverso cui viene letto e presentato il conflitto.

Palestina e pianeta

Andreas Malm analizza il genocidio a Gaza come apice di una logica distruttiva parallela a quella climatica, radicata nell’impero fossile britannico dal 1840.

Le idee chiave

Alcuni dei concetti chiave di Andreas Malm in Distruggere la Palestina, distruggere il pianeta. Tra parentesi il titolo del capitolo di riferimento

Illimitatezza della Violenza Israeliana e Complicità Occidentale

  • Descrizione: Analizza la percezione che non esistano limiti alle azioni distruttive dello Stato di Israele a Gaza, evidenziando la sistematica violazione di norme precedentemente considerate invalicabili (ospedali, civili in attesa di aiuti) e l’attivo sostegno politico, militare e diplomatico delle potenze occidentali a questo processo.
  • Punti Chiave:
    • Lo Stato di Israele dimostra che non ci sono limiti alle sue azioni distruttive contro i palestinesi, rispondendo a ogni condanna con una ripetizione aggravata dell’atto. (Prefazione)
    • Il genocidio a Gaza è un’«impresa transnazionale» unica, coordinata e sostenuta attivamente da USA, UK, Germania e UE con armi, intelligence e copertura diplomatica. (Il primo genocidio del tardo capitalismo avanzato)
    • Nonostante le “linee rosse” dichiarate (es. Rafah), gli USA continuano a fornire armi illimitatamente, dimostrando che la logica imperiale prevale sui limiti dichiarati. (Prefazione)

Le Distruzioni Parallele: Palestina e Pianeta

  • Descrizione: Stabilisce un parallelo fondamentale tra la distruzione fisica della Palestina (case, infrastrutture, vite) e la distruzione ecologica del pianeta causata dall’economia dei combustibili fossili, identificando una logica comune di illimitatezza, spoliazione e indifferenza verso le vite (soprattutto non bianche).
  • Punti Chiave:
    • La logica illimitata della distruzione fisica di Gaza rispecchia quella dell’estrazione fossile che accelera nonostante la crisi climatica evidente. (Prefazione)
    • Eventi climatici estremi (come l’inondazione di Derna) mostrano somiglianze morfologiche con la devastazione bellica di Gaza, collegando direttamente le due “Nakbe”. (Modi di polverizzazione)
    • Sebbene l’industria fossile non miri a un genocidio specifico, la sua consapevole letalità verso i poveri del Sud Globale la rende de facto intenzionale, simile all’indifferenza verso le vite palestinesi. (Modi di polverizzazione)

Radici Storiche: Impero Fossile e Genesi del Sionismo (1840)

  • Descrizione: Ricostruisce il momento storico del 1840 come punto di articolazione cruciale, in cui l’intervento militare britannico nel Levante, reso possibile dalla nuova tecnologia a vapore (carbone), coincise con la nascita dell’idea imperialista di colonizzazione ebraica della Palestina per servire interessi economici e strategici britannici.
  • Punti Chiave:
    • L’uso militare britannico dei battelli a vapore (carbone) nel 1840 fu decisivo per sconfiggere Muhammad Ali, imporre il libero scambio in Medio Oriente e globalizzare l’economia fossile. (Sappiate che è in nostro potere…, Polverizzare Acri)
    • Contemporaneamente (1840), l’architetto dell’Impero britannico, Lord Palmerston, concepì l’idea di incoraggiare l’insediamento ebraico in Palestina per portare capitali e fungere da freno contro potenze rivali. (Cedere la Palestina)
    • L’idea di una “terra senza popolo”, nata in ambienti sionisti cristiani britannici intorno al 1840, seguì la distruzione fisica (Acri) e prefigurò ideologicamente la Nakba, prima ancora dell’esistenza di un movimento sionista ebraico significativo. (Cedere la Palestina)

Critica della Teoria della Lobby vs. Interesse Imperiale

  • Descrizione: Rifiuta la spiegazione secondo cui il sostegno USA a Israele sia dovuto principalmente al potere della “lobby sionista” che agirebbe contro gli interessi americani. Sostiene invece che tale sostegno sia radicato negli interessi strategici ed economici profondi e di lunga data dell’impero statunitense in Medio Oriente.
  • Punti Chiave:
    • La teoria secondo cui la lobby sionista costringe gli USA a sostenere Israele contro i propri interessi ignora la lunga storia di sostegno imperiale preesistente e gli interessi convergenti. (Contro la teoria della lobby, Risposta… sulla lobby)
    • Figure chiave come Joe Biden hanno esplicitamente definito Israele come il miglior “investimento” e “strumento” per proteggere gli interessi USA nella regione, da “inventare” se non esistesse. (Contro la teoria della lobby)
    • L’impero USA, come motore dell’economia fossile globale, persegue intrinsecamente logiche distruttive; il sostegno alla distruzione della Palestina non è quindi un’aberrazione imposta dall’esterno. (Contro la teoria della lobby, Risposta… sulla lobby)

Resistenza Palestinese: Legittimità e Complessità

  • Descrizione: Difende la legittimità della resistenza palestinese, inclusa la lotta armata condotta da Hamas e dalle fazioni di sinistra (FPLP, FDLP), come risposta necessaria all’oppressione coloniale e al genocidio, pur riconoscendone le complessità interne e criticando la riluttanza della sinistra occidentale a sostenerla apertamente.
  • Punti Chiave:
    • Di fronte a decenni di fallimenti di vie pacifiche e all’attuale genocidio, la resistenza armata palestinese (Hamas, FPLP, FDLP) è l’unica forza che si oppone sul campo ed è quindi legittima. (La resistenza tiene, Risposta… sulla resistenza)
    • L’uccisione di civili israeliani il 7 ottobre, pur tragica, va vista nel contesto della violenza “inevitabile” delle lotte anticoloniali contro regimi d’insediamento, senza delegittimare la resistenza stessa. (Sull’assassinio dei coloni)
    • Hamas mostra una traiettoria di secolarizzazione e pragmatismo politico, e la sinistra globale dovrebbe superare l’imbarazzo e sostenere l’unità della resistenza sul campo. (Sulla Hamas realmente esistente)

Dominio Tecnologico e Tecno-Genocidio

  • Descrizione: Introduce il concetto di “tecno-genocidio” per descrivere il genocidio a Gaza, inteso come un massacro eseguito con le più avanzate tecnologie militari (IA, armi di precisione) e motivato, in parte, dalla necessità di riaffermare la supremazia tecnologica israelo-statunitense dopo l’umiliazione subita il 7 ottobre.
  • Punti Chiave:
    • Tufan al-Aqsa rappresentò una scioccante negazione della superiorità tecnologica israelo-statunitense, un affronto senza precedenti alla loro potenza militare accumulata in due secoli. (Il primo tecnogenocidio)
    • La risposta genocida è un “tecno-genocidio”, volto a riaffermare il dominio tecnologico attraverso un’esibizione sfacciata di potenza distruttiva, come messaggio deterrente globale. (Il primo tecnogenocidio)
    • Sistemi di IA come “Gospel”, “Lavender” e “Where’s Daddy?” automatizzano la generazione di bersagli per una “fabbrica di massacri”, meccanizzando l’uccisione a Gaza. (Il primo tecnogenocidio)

Cosa possiamo fare noi?

Quali sono le raccomandazioni virtuali offerte da Malm?

  • Riconoscere e analizzare l’interconnessione strutturale tra la distruzione ambientale (clima) e la violenza coloniale (Palestina) nel mondo attuale.
  • Adottare una prospettiva storica di lungo periodo per comprendere le radici imperiali e capitalistiche dei conflitti e delle crisi odierne globali.
  • Sfidare attivamente la logica dell’illimitatezza sia nell’estrazione fossile sia nella violenza militare contro popolazioni oppresse nel mondo intero.
  • Decostruire criticamente le narrazioni ufficiali e mediatiche, cercando fonti alternative e analisi che espongano gli interessi materiali sottostanti chiaramente.
  • Superare la riluttanza a sostenere la resistenza armata anticoloniale come risposta legittima a decenni di oppressione e fallimenti pacifici ormai evidenti.
  • Rigettare la teoria della lobby come spiegazione principale del sostegno occidentale a Israele, focalizzandosi invece sugli interessi imperiali profondi convergenti storicamente.
  • Promuovere lo smantellamento coordinato delle infrastrutture fossili globali e delle strutture coloniali d’insediamento come obiettivo politico unificato necessario oggi.
  • Combattere l’insensibilità e la svalutazione delle vite non bianche nel Sud globale, sia nelle crisi climatiche sia nei conflitti armati.
  • Studiare il ruolo centrale della tecnologia (dall’energia fossile all’IA) come strumento di dominio, distruzione e potenziale riaffermazione del potere imperiale globale.
  • Sostenere la ricerca e la diffusione di narrazioni storiche basate su fonti non metropolitane (es. arabe) per completare la comprensione degli eventi.
  • Unire la lotta per la giustizia climatica con la lotta per la liberazione palestinese, riconoscendole come fronti interconnessi contro lo stesso sistema distruttivo.
  • Esaminare criticamente il ruolo degli stati-nazione (anche quelli apparentemente alleati) nell’economia fossile globale e le loro contraddizioni politiche interne inevitabili.
  • Approfondire l’analisi dell’imperialismo contemporaneo (USA, UK, UE) e del suo funzionamento in Medio Oriente oltre le spiegazioni superficiali disponibili oggi.
  • Trarre ispirazione dalla resilienza e dalla perseveranza della resistenza palestinese come modello di lotta contro probabilità schiaccianti nel mondo moderno.
  • Considerare la distruzione fisica attiva delle infrastrutture dannose (fossili, coloniali) come opzione necessaria nel percorso verso l’abolizione totale richiesta.
  • Sostenere e partecipare ai movimenti di solidarietà internazionale che operano nel cuore degli imperi per sfidarne le politiche direttamente all’origine.
  • Diffidare delle soluzioni diplomatiche (COP, processi di pace) che mascherano la continuazione degli investimenti distruttivi sul campo concretamente oggi.
  • Contrastare l’uso della memoria storica (Olocausto) per giustificare violenza attuale, promuovendo invece un uso etico della memoria stessa nel presente.
  • Apprezzare e sostenere la sinistra rivoluzionaria che opera sul campo nelle lotte anticoloniali, superando la disattenzione o l’imbarazzo occidentale diffuso.
  • Riconoscere la complessità dei movimenti di resistenza (come Hamas), andando oltre stereotipi liberali e studiandone l’evoluzione reale nel tempo vissuto.

Il punto di vista di Andreas Malm

Anche per Malm ho fatto lo stesso esercizio di identificazione di potenziali limiti dati dal suo punto di vista:

  1. Bias Marxista/Anti-Capitalista: Malm utilizza esplicitamente un quadro analitico marxista e anti-capitalista. Vede l’imperialismo, il colonialismo e la crisi climatica come prodotti intrinseci del capitalismo, in particolare del “capitale fossile”. Questo framework modella la sua interpretazione degli eventi storici e contemporanei, concentrandosi sulle dinamiche di classe, accumulazione e sfruttamento.
  2. Bias Anti-Imperialista: L’analisi è fortemente focalizzata sulla critica dell’imperialismo occidentale (britannico e statunitense). Le azioni di queste potenze sono interpretate primariamente attraverso la lente dell’espansione, del controllo delle risorse (cotone, petrolio) e della repressione dei movimenti di liberazione, minimizzando potenzialmente altre motivazioni o complessità.
  3. Bias Pro-Resistenza (inclusa la Lotta Armata): Malm esprime un sostegno esplicito e inequivocabile alla resistenza palestinese, inclusa la sua ala armata (Hamas, FPLP, FDLP). Giustifica la lotta armata, anche quando comporta vittime civili (come il 7 ottobre), inquadrandola come una conseguenza inevitabile e legittima della lotta anticoloniale contro un regime d’insediamento. Potrebbe tendere a minimizzare o contestualizzare eccessivamente aspetti problematici della resistenza.
  4. Bias Anti-Sionista: Il progetto sionista e lo Stato di Israele sono presentati in modo uniformemente negativo come un’impresa coloniale d’insediamento, intrinsecamente legata all’imperialismo e con una logica “genocida” fin dalle origini (o almeno dal 1948, se non ideologicamente dal 1840). Manca una differenziazione interna al sionismo o una considerazione di altre prospettive israeliane che non siano quelle legate al potere dominante.
  5. Bias Strutturalista/Determinista: Tende a spiegare gli eventi attraverso grandi strutture storiche ed economiche (l’impero fossile, il capitalismo). Sebbene riconosca l’azione degli individui, l’enfasi è sulle forze sistemiche che spingono verso la distruzione (della Palestina e del pianeta), potenzialmente riducendo lo spazio per la contingenza o l’azione politica al di fuori di queste strutture.
  6. Bias di Framing (Linguaggio Emotivo e Forte): Utilizza un linguaggio molto carico emotivamente (“genocidio”, “massacro”, “polverizzazione”, “freddezza borghese”, “sete di sangue”, “orrore insondabile”) che serve a sottolineare la gravità degli eventi ma può anche polarizzare il discorso e ridurre lo spazio per interpretazioni più sfumate o moderate.
  7. Bias di Selezione Storica (Focus sul 1840): Sebbene l’analisi del 1840 sia dettagliata e argomentata, elevare quel momento a punto di origine quasi esclusivo sia dell’impero fossile globale sia dell’idea sionista potrebbe essere una forma di selezione che sottovaluta altri fattori o periodi storici altrettanto importanti per entrambi i fenomeni.
  8. Bias di Conferma (contro la Teoria della Lobby): La sua confutazione della “teoria della lobby” è netta. Pur presentando argomenti validi basati sugli interessi imperiali, potrebbe respingere troppo categoricamente qualsiasi ruolo (anche secondario o complementare) che le lobby pro-Israele possono giocare nella politica statunitense, confermando la sua tesi principale basata sugli interessi strutturali dell’impero.
  9. Bias Attivista/Motivazionale: Il testo non è solo un’analisi accademica ma anche un chiaro appello all’azione e alla solidarietà (“noi stiamo con la resistenza e ne siamo fieri”). Questa forte motivazione politica, per quanto legittima, può influenzare la selezione e l’interpretazione dei fatti per sostenere una specifica linea d’azione.

Le due tesi a confronto

Uno dei vantaggi dell’IA è la facilità con cui si possono mettere a confronto testi e autori. Mettere a confronto i punti di vista diventa essenziale per tracciare convergenze e punti di vista originali.

Mettere a confronto i testi di Didier Fassin e Andreas Malm rivela sia significative convergenze nell’analisi della situazione a Gaza post-7 ottobre, sia importanti divergenze nel quadro interpretativo, nelle radici storiche identificate e nelle conclusioni politiche.

Tesi in Comune / Aree di Accordo:

  1. Condanna della Violenza a Gaza: Entrambi gli autori condannano fermamente la violenza e la distruzione inflitte da Israele a Gaza dopo il 7 ottobre, descrivendola con termini estremamente gravi (Fassin: “obliterazione”, “massacro”, “annientamento”; Malm: “genocidio”, “polverizzazione”, “distruzione”).
  2. Complicità Occidentale: Concordano sul ruolo cruciale e riprovevole delle potenze occidentali (USA, UK, Germania, UE) nel sostenere attivamente Israele con armi, copertura diplomatica e sostegno politico, rendendosi complici della distruzione. Entrambi vedono questo come un grave fallimento morale o politico.
  3. Critica della Narrazione Dominante: Tutti e due criticano aspramente le narrazioni occidentali dominanti che giustificano le azioni israeliane, manipolano il linguaggio (es. “autodifesa”, “risposta”) e marginalizzano o disumanizzano la prospettiva e la sofferenza palestinese.
  4. Importanza del Contesto Storico: Sostengono che gli eventi post-7 ottobre non possono essere compresi senza un contesto storico. Fassin enfatizza l’occupazione post-1967, mentre Malm va molto più indietro, ma entrambi rigettano una lettura astorica.
  5. Svalutazione delle Vite Palestinesi: Entrambi evidenziano, seppur con linguaggi diversi, la profonda disuguaglianza nel valore attribuito alle vite palestinesi rispetto a quelle israeliane o occidentali, un fattore chiave che permette la violenza su larga scala. Fassin parla di “ineguaglianza tra le vite” e “grievability differenziale”; Malm di “sacrificabilità” delle vite non bianche.
  6. Fallimento del Diritto/Valori Occidentali: Vedono la situazione come una crisi dei valori proclamati dall’Occidente e dell’efficacia del diritto internazionale umanitario, dimostrando ipocrisia e doppi standard.

Tesi Divergenti / Aree di Disaccordo o Enfasi Diversa:

  1. Framework Analitico Primario:
    • Fassin: Utilizza principalmente una lente etico-umanitaria, sociologica e giuridica (diritti umani, morale, fallimento istituzionale, manipolazione discorsiva).
    • Malm: Utilizza principalmente una lente storico-materialista, marxista e anti-imperialista (capitale fossile, lotta di classe, impero, ecologia politica).
  2. Spiegazione Fondamentale:
    • Fassin: Vede la causa principale nell’ “abdicazione morale” e nel “collasso intellettuale” dell’Occidente, legati a fattori come la strumentalizzazione dell’antisemitismo, l’islamofobia, il senso di colpa storico e interessi geopolitici non meglio specificati in termini economici strutturali.
    • Malm: Identifica la radice nel legame strutturale e storico tra l’impero capitalista (prima britannico poi USA), l’economia dei combustibili fossili e il progetto sionista come strumento di controllo regionale. La distruzione della Palestina è vista come parallela e connessa alla distruzione del pianeta guidata dalla stessa logica del capitale fossile.
  3. Profondità Storica:
    • Fassin: Ancorato principalmente al contesto post-1967 e alla reazione immediata post-7 ottobre.
    • Malm: Rintraccia le origini fino al 1840, legando l’avvento dell’energia a vapore (carbone) britannica alla prima concezione imperialista del sionismo.
  4. Posizione sulla Resistenza Armata:
    • Fassin: Riconosce il dibattito resistenza/terrorismo e la legittimità di contestualizzare la violenza palestinese nell’occupazione, ma non sposa esplicitamente la lotta armata. Si concentra più sul diritto alla critica e alla comprensione.
    • Malm: Difende esplicitamente e con forza la legittimità della resistenza armata palestinese (incluse Hamas e fazioni di sinistra) come lotta anticoloniale necessaria e inevitabile, criticando la sinistra occidentale per la sua esitazione.
  5. Teoria della Lobby vs. Interessi Imperiali:
    • Fassin: Menziona brevemente il ruolo di AIPAC come fattore politico interno USA.
    • Malm: Dedica una sezione specifica a confutare la “teoria della lobby”, sostenendo che il supporto USA deriva da interessi imperiali fondamentali e strutturali, non da pressioni esterne.
  6. Il Parallelo Climatico: La tesi centrale di Malm sul parallelismo tra distruzione della Palestina e distruzione del pianeta è totalmente assente in Fassin.
  7. Concetto di “Tecno-Genocidio”: L’idea che il genocidio sia anche motivato dalla necessità di riaffermare la supremazia tecnologica è specifica di Malm.

In sintesi, Fassin offre una critica potente del fallimento morale e intellettuale dell’Occidente di fronte a Gaza, basata su etica e diritti umani. Malm condivide questa condanna ma la inserisce in un quadro storico-materialista più ampio, collegandola indissolubilmente all’imperialismo fossile e difendendo esplicitamente la resistenza armata anticoloniale.


Riflessioni finali

La mia analisi comparativa strutturata di Fassin e Malm, realizzata tramite sintesi AI sui testi forniti, rivela la ricchezza che emerge dal confronto di prospettive critiche diverse, anche quando allineate su una causa comune.

Pur basandomi su queste elaborazioni e non sulla lettura integrale, questo esercizio dimostra come un approfondimento ragionato – anche assistito tecnologicamente – offra una comprensione di Gaza più solida rispetto alla volatilità della cronaca, spesso manipolatoria come nota Fassin.

Credo che valorizzare queste analisi accademiche rigorose, inclusa la tesi coraggiosa di Malm, sia essenziale per formarsi un’opinione informata e superare la superficialità mediatica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.