L’amico Massimo mi ha segnalato un’intervista a Luca Guadagnino. In particolare ciò che l’ha colpito è l’affermazione di Guadagnino su come (per il suo cinema) nel raccontare una storia non conta tanto il cosa – gli archi narrativi delle storie sono riconducibili a poche varianti – ma il come, ovvero il modo in cui la racconti.
Non avevo voglia di ascoltarmi l’ora di intervista e così l’ho trascritta e me la sono fatta sintetizzare dall’IA, esattamente con la chiave dell’importanza del come. Ho utilizzato Grok 3.
Il discorso di Luca Guadagnino sul “come” si sviluppa principalmente attraverso riflessioni sul linguaggio cinematografico, sul montaggio, sull’approccio alla regia e sulla relazione con il pubblico e gli attori. Di seguito, analizzo i punti principali del suo discorso, suddividendoli in temi chiave:
1. Il “come” come linguaggio cinematografico e priorità sulla trama
Guadagnino sottolinea che, per lui, il cinema non è primariamente una questione di trama, ma di linguaggio e di “come” una storia viene raccontata. Questo emerge chiaramente quando dice:
“Non si va al cinema per vedere una storia. […] È il linguaggio la cosa che deve contare, l’unica cosa che conta. Quindi è come tu sei trasportato in un luogo, in un mondo con le parole, con le immagini che conta.”
- Qui, Guadagnino enfatizza che il valore di un film risiede nel modo in cui il regista utilizza gli strumenti del cinema (immagini, montaggio, suono) per creare un’esperienza che trascenda la semplice narrazione. La trama, secondo lui, è secondaria rispetto alla capacità del film di evocare emozioni, riflessioni e proiezioni personali nello spettatore.
- Inoltre, cita l’idea che “tutte le storie sono state raccontate dai tempi delle Mille e una notte“, suggerendo che l’originalità non risiede nel “cosa” si racconta, ma nel “come” lo si fa. Questo approccio lo distingue da un cinema più commerciale o plot-driven, dove la storia e i colpi di scena sono centrali.
2. Il “come” nel montaggio: un’arte fondamentale
Un altro aspetto cruciale del discorso di Guadagnino sul “come” riguarda il montaggio, che considera un momento essenziale del processo creativo, forse il più importante:
“Il montaggio è un’arte fondamentale del nostro mestiere, ma è una delle più neglette, delle meno pensate.”
- Per Guadagnino, il montaggio non è solo un’operazione tecnica, ma un atto creativo che permette di “mettere ordine al caos” e di “deviare il senso di una cosa da una direzione all’altra”. È il momento in cui il regista ha il potere assoluto di plasmare il significato e l’esperienza del film.
- Racconta di come ami lavorare a stretto contatto con i montatori, vivendo il montaggio come un processo intimo e riflessivo, addirittura allestendo la sala di montaggio in casa sua per essere più immerso nel lavoro. Questo sottolinea il suo approccio artigianale e la sua attenzione al “come” ogni sequenza viene costruita e collegata.
3. Il “come” nel rapporto con il pubblico e le aspettative
Guadagnino riflette anche sul “come” il pubblico percepisce e si relaziona con un film, distaccandosi dall’idea di dover soddisfare aspettative preconfezionate:
“Non c’è nulla che tu possa fare rispetto al modo in cui il film viene distribuito, percepito, accolto.”
- Questo atteggiamento riflette una filosofia di distacco dai risultati immediati e un focus sul processo creativo. Per lui, il “come” un film viene fatto e il “come” viene vissuto dal pubblico sono due aspetti distinti, e il regista deve concentrarsi sul primo, lasciando al pubblico la libertà di proiettare i propri desideri e interpretazioni.
- Sottolinea che il pubblico spesso proietta aspettative e immagini mentali sui registi, ma che queste proiezioni non devono influenzare il “come” un regista lavora. Questo approccio lo libera dalla pressione di conformarsi a un’immagine esterna e gli permette di concentrarsi sul suo linguaggio personale.
4. Il “come” nella regia e nel lavoro sul set
Guadagnino descrive il suo approccio alla regia come un processo complesso e spesso frustrante, ma anche come un’occasione per sperimentare e creare. Parla del set come di un “posto orrendo”, pieno di ostacoli (tempo, denaro, volontà degli altri), ma è proprio nel “come” affronta queste difficoltà che emerge la sua visione:
“Odio ripetermi e quindi […] ho quella speranza che quando dici una cosa tutti ascoltano e poi la fanno o hanno capito e si procede alla prossima.”
- Questo rivela un approccio rigoroso e determinato, in cui il “come” si traduce in una ricerca di efficienza e precisione, pur mantenendo una certa apertura alla collaborazione e all’imprevisto.
- Ammette di essere percepito come “insopportabile” da molti collaboratori, ma lo fa con una certa ironia, riconoscendo che il suo modo di lavorare è parte integrante del suo “come” creativo.
5. Il “come” nella scelta degli attori e nella collaborazione
Un altro elemento del discorso di Guadagnino sul “come” riguarda il suo rapporto con gli attori, che considera una parte fondamentale del processo creativo:
- Parlando di Daniel Craig, scelto per il film Queer, sottolinea il “come” un attore possa incarnare un ruolo in modo unico e insostituibile: “Non ce n’è un altro che poteva fare questo ruolo.” Questo evidenzia il suo approccio intuitivo e fiducioso nella scelta degli interpreti, basato non solo sul talento, ma anche su una connessione personale e artistica.
- Nel caso di Timothée Chalamet, descrive il “come” ha riconosciuto in lui un potenziale straordinario, non solo come attore, ma come persona ambiziosa e determinata. Il “come” ha lavorato con Chalamet, affidandogli ruoli di grande responsabilità, riflette la sua capacità di vedere oltre il presente e di investire nel futuro di un attore.
6. Il “come” come sperimentazione e ambizione
Guadagnino parla anche del “come” come un processo di sperimentazione e ambizione personale. Racconta di essere attratto dalle sfide e dalle cose complicate, sia nella vita che nel lavoro:
“Non ho mai voluto la via semplice, mi sono sempre sentito […] non interessato a ciò che era giusto per la mia età.”
- Questo si riflette nel suo approccio al cinema, dove cerca di affrontare progetti difficili e di spingersi oltre i propri limiti. Ad esempio, racconta di come abbia sognato di adattare Queer di Burroughs fin da giovane, e di come abbia finalmente realizzato questo sogno dopo anni di attesa e preparazione.
- Parla anche del “come” ha affrontato la serialità televisiva con We Are Who We Are, inizialmente immaginando ogni episodio con uno stile diverso, per poi optare per una maggiore omogeneità. Questo dimostra la sua flessibilità e la sua capacità di adattare il “come” alle esigenze del progetto, pur mantenendo una visione artistica forte.
7. Il “come” come eredità e riflessione sulla morte
Infine, Guadagnino tocca il tema del “come” in relazione alla sua eredità artistica e alla morte, un argomento che emerge nel finale della conversazione. Parla del “come” vorrebbe essere ricordato e del “come” vede il suo lavoro come un contributo duraturo:
“Mi piacerebbe fare altri tre o quattro film per chiudere il mio discorso. […] Se avessi completato la mia filmografia si può anche morire.”
- Qui, il “come” si lega all’idea di lasciare un segno attraverso il cinema, un medium che, a differenza della televisione, ha la capacità di “rimanere” nel tempo. La sua riflessione sulla morte è pragmatica e serena, focalizzata sul “come” completare il suo percorso artistico piuttosto che sul “quando” o sul “perché”.
Conclusione
Il discorso di Guadagnino sul “come” è un manifesto della sua filosofia artistica e personale. Per lui, il “come” non è solo una questione tecnica, ma un approccio esistenziale al cinema e alla vita. Si tratta di privilegiare il linguaggio, il processo, la sperimentazione e le relazioni umane rispetto ai risultati immediati o alle aspettative esterne. Il suo “come” è fatto di rigore, ambizione, ironia e una costante ricerca di significato, che si riflette tanto nel suo lavoro sul set quanto nelle sue riflessioni sulla vita e sull’arte.
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