Una canzone come metafora delle relazioni personali del passato

Ascolto la playlist con i miei 3000 brani preferiti. Ogni tanto riemerge un bravo che risuona più di altri. È il caso di Ouline di Zero 7.

So what is it when we both know?
So what is it when we both know?
What have we become?
[...]
A part of you is leaving
And we both know, we both know

(Cos’è, allora, quando entrambi sappiamo? … Una parte di te sta andando via. E lo sappiamo entrambi, lo sappiamo entrambi.)

La rottura c’è, è silenziosa. Non ci sono litigi, né rese dei conti, né drammi. C’è la consapevolezza che qualcosa è finito. Eppure non ci sono parole per dirlo, non c’è un confronto.

Le stesse parole e la stessa situazioni si calano perfetta per la mia realtà di varie relazioni personali che stanno ormai nel passato, almeno per me. Una deriva strutturale vissuta con molti dei miei amici storici, che non è neanche necessario nominare. Non c’è stato un litigio che ci ha separati. Siamo semplicemente andati alla deriva. In inglese userei il termine drifting. La vita. A differenza di quel che fa presumere la canzone, nel mio caso non ci siamo guardati e abbiamo capito, senza dirci nulla. No, il legame si è spezzato, ma l’altro si illude che ancora ci sia. Altrimenti perché, per esempio, scrivermi per gli auguri per il compleanno e rimandare a un prossimo appuntamento, in maniera neanche troppo convinta? Oppure perché ci incrociamo per la strada, ci salutiamo, e il giorno dopo mi scrivi per scusarti che non mi hai dato corda e rimandi, anche in questo caso, a un possibile incontro che non si concretizzerà mai? Io lo chiamo opportunismo o il non voler accettare, con sé stessi, che il rapporto non c’è più. I protagonisti del brano sono più onesti tra loro.

I figured it would change
Forget our golden age
Oh, it never was

(Pensavo che sarebbe cambiato. Dimenticare la nostra età dell’oro. Oh, non lo è mai stata.)

Un processo necessario e onesto, una dolorosa revisione del passato. Il narratore si aggrappa alla speranza (“pensavo che sarebbe cambiato”), poi riconosce l’idealizzazione del passato (“la nostra età dell’oro”) e infine arriva a una conclusione più radicale: forse, quell’ “età dell’oro” non è mai esistita veramente, era solo un’illusione.

Mi sembra quasi di rivedermi, tale e quale, nella stessa situazione. Per un certo periodo ci ho sperato. Io stavo cambiando e i miei amici probabilmente lo erano, cambiati, già prima di me. Il COVID-19 da spartiacque. Poi l’epifania: l’asciarli andare. Lasciar andare il ricordo di come erano (la loro “età dell’oro”). In qualche caso, rivedendo il passato con gli occhiali nuovi della consapevolezza, mi sono reso conto che forse, con molti, reciprocità non c’è mai stata veramente, fin dall’inizio.

Now you're a foreign land
I don't understand
Oh, what have we become?

(Ora sei una terra straniera. Non capisco. Oh, cosa siamo diventati?)

La persona che un tempo era la più familiare diventa un “territorio sconosciuto”. La disconnessione è così profonda che non si riesce più a “leggere” l’altro.

Stessa sensazione, una volta che ho guardato dentro di me e ho capito meglio chi sono, cosa volevo e cosa voglio. Ho ripensato agli amici storici. Li guardo e non li capisco più. Siamo diventati, eravamo diversi.


C’è chi vive nel passato. In un passato dove la relazione è rimasta immutata, come un’opera d’arte in un museo, cristallizzata. Peccato che, almeno io, sono andato avanti. Ho fatto altre esperienze, ho acquisito nuove consapevolezze. Non sono più quello di prima. Io l’ho capito. Loro non lo voglio capire o forse gli fa comodo vivere nell’autoinganno. Se non ci sentiamo e non ci vediamo da mesi o anni e non ci cerchiamo, a differenza di prima, un motivo ci sarà? Perché illudersi, una volta l’anno, che non sia cambiato nulla.

Da parte mia non c’è rancore. C’è un po’ di incredulità, quella che ancora fatica a considerare che intelligenza cognitiva e intelligenza emotiva non vanno di pari passo. L’incredulità ha lasciato il passo alla compassione. Li compatisco, come si compatisce qualcuno che sembra non essere in grado di capire.

La vita continua. Anche meglio di prima, perché più pensieri, parole e azioni sono allineati, più si vive meglio. Lo dico per esperienza diretta. Non mi mancano le relazioni del passato. Non le rimpiango. Non ci penso neanche più. Va bene così. Un capitolo si è chiuso, altri si sono aperti. La credenza che l’amicizia storica dura per sempre è una falsa credenza. Va sostituita con quella per cui la vita è fatta di fasi e in queste fasi, come in un cammino, fai parte del percorso insieme a qualcuno. Poi arriva il momento in cui le strade si dividono. Ci si saluta e si prosegue. Con gioia e gratitudine per il percorso fatto insieme. Niente altro.