Giovedì 3 Agosto 2023

Avrebbe voluto dimenticare, almeno qualche volta, che ci sono risultati da ottenere. Avrebbe voluto che qualcuno gli dicesse di godersi tutto ciò che di buono viene dal costruire una degna solitudine, che va bene anche così.

Il laureando di Maurizio Amendola

Libri

A lot of the reason why we get mentally ill and unhappy is that there is so much about our lives that we fail to investigate and understand with honesty and courage. […] we are built so that whenever we come near to important realisations, we are visited by waves of anxiety and discomfort; we’re inherently squeamish about working out what is really going on inside. Knowledge threatens to upset the comfortable status quo: perhaps—after we reflect—we’ll realise that we really have no option but to leave our present partner. We might have to confront just how unsatisfying our current career is;

To ensure that we will never come face to face with ourselves, we develop addictions. An addiction is simply anything that guarantees that we will never have to come to terms with ourselves, that promises to ward off uncomfortable or dreadful inner realisations.

In this context, the media presents itself as the most tempting of all contemporary addictions. It is omnipresent, it understands our minds perfectly, it knows just how to tease and beguile us; above all, it is prestigious. It sounds so reasonable to say that we have been following the news; we couldn’t possibly be declared mentally unwell merely for taking a profound interest in developments in the South China Sea or in the European Parliament. But the ongoing swirl of news is the ideal instrument for destroying our strength to follow information from inside our minds.*

Una delle ragioni per cui diventiamo mentalmente malati e infelici è che ci sono così tante cose nella nostra vita che non riusciamo ad indagare e comprendere con onestà e coraggio. […] siamo fatti in modo tale che ogni volta che ci avviciniamo a importanti realizzazioni, siamo visitati da onde di ansia e disagio; siamo intrinsecamente restii ad affrontare ciò che sta realmente accadendo dentro di noi. La conoscenza minaccia di sconvolgere lo status quo confortevole: forse, dopo aver riflettuto, ci renderemo conto che non abbiamo altra scelta se non lasciare il nostro attuale partner. Potremmo dover affrontare quanto insoddisfacente sia la nostra carriera attuale;

Per assicurarci di non venire mai a confronto con noi stessi, sviluppiamo dipendenze. Una dipendenza è semplicemente qualcosa che garantisce che non dovremo mai fare i conti con noi stessi, che promette di allontanare realizzazioni interne scomode o terribili.

In questo contesto, i media si presentano come la più allettante di tutte le dipendenze contemporanee. È onnipresente, comprende perfettamente le nostre menti, sa esattamente come stuzzicarci e sedurci; soprattutto, è prestigioso. Sembra così ragionevole dire che abbiamo seguito le notizie; non potremmo essere dichiarati mentalmente malati solo per avere un profondo interesse negli sviluppi del Mar Cinese Meridionale o del Parlamento Europeo. Ma il vortice continuo delle notizie è lo strumento ideale per distruggere la nostra capacità di seguire le informazioni provenienti dall’interno delle nostre menti.

How Modern Media Destroys Our Life

Mi sembra chiaro che il recente disagio del pensare alle mie relazioni, ridotto e tolto il tempo dello smartphone, delle chat, delle news (seppur selezionate e filtrate), sia naturale, considerando quanto sopra, tratto da How Modern Media Destroys Our Life. Libri che avevo sottovalutato. Del resto è scritto/curato da Alain de Botton e da The School of Life che apprezzo da anni per la chiarezza nella comunicazione e per la profondità dei concetti espressi. Libretto snello, che oggi finirò.

Molto divertente il memoir Boyslut, trovato per caso in una lista di libri consigliati per il mese del Pride. Quasi finito.

Il coraggio di essere felici torna su vari argomenti di Il coraggio di non piacere, come ovvio. Utile come rinforzo su concetti chiave della psicologia di Adler, come quello per cui il passato non conta e puoi decidere di essere felice da adesso in poi e di agire di conseguenza.

The Pathless Path offre spunti in cui mi rivedo e in cui vedo molte delle persone che conosco e che frequento. Lettura più che consigliata, soprattutto a chi non si riconosce in un percorso di carriera tradizionale e vorrebbe cambiare.

As I started to experiment with how I spent my time, Taggart’s question remained in my head. I was fascinated by his claim that we lived in a time of “total work,” a state of existence in which work is such a powerful force that almost everyone ends up identifying as a worker first and foremost. The idea of total work was inspired by the German philosopher Josef Pieper, who first wrote about it in his book Leisure, The Basis of Culture. Writing in Germany after World War II, Pieper was shocked at how people were eager to throw themselves into work without pausing to reflect on what kind of world they wanted*

Mentre iniziavo ad sperimentare come trascorrevo il mio tempo, la domanda di Taggart rimaneva nella mia testa. Ero affascinato dalla sua affermazione che vivessimo in un’epoca di “lavoro totale”, uno stato di esistenza in cui il lavoro è una forza così potente che quasi tutti finiscono per identificarsi prima di tutto come lavoratori. L’idea del lavoro totale fu ispirata dal filosofo tedesco Josef Pieper, che ne scrisse per la prima volta nel suo libro “Il Tempo Libero, Fondamento della Cultura”. Scrivendo in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale, Pieper rimase scioccato da come le persone fossero desiderose di gettarsi nel lavoro senza fermarsi a riflettere su che tipo di mondo volessero.

The Pathless Path

Benessere

Ieri sono tornato a camminare dopo la colazione, cosa che non faceva probabilmente da metà giugno o forse da maggio. Ci voleva.

Media

Leggendo il libro sui media mi sono reso conto che, anche filtrando, le fonti a cui sono esposte sono troppe e generano una quantità di contenuti va al di là della mia capacità e volontà di assorbimento. Dopo aver deciso anni fa di azzerare il consumo di social media, a favore di feed RSS e newsletter, oggi ho deciso di prendermi un’altra pausa da tutto. Per il mese di agosto niente podcast, niente articoli, niente newsletter, niente blog, niente giornali, niente riviste, niente TV ovviamente (in ogni forma). Nessun contenuto informativo che non venga da un libro o dalla rielaborazione delle note dei libri che ho già letto. Non ho bisogno di nuovi stimoli, nuove segnalazioni, nuovi libri da leggere, nuovi contenuti da vedere. I 40 articoli da parte restano nel limbo fino a settembre, poi deciderò cosa farci.

Una riflessione che ho fatto a seguito della lettura del libro, applicandola alla mia recente esperienza, è che eliminare i media per migliorare la salute mentale e dedicarmi a ciò che conta per me, porta con sé uno stimolo minore a creare contenuti per conto terzi. Soprattutto se i miei contenuti sono, come sempre è stato per me, la rielaborazione e il commento di contenuti altrui. Non mi vedo più in questo ruolo. Non so se sia la risposta temporanea a un eccesso e alla voglia di prendermi una pausa o qualcosa di definitivo. Lo vedremo col tempo. Se così fosse, va da sé sarei destinato a cambiare molto radicalmente il mio orizzonte professionale. Riflessione aperta e necessaria.

Serie TV

Dopo averlo fatto decantare per oltre 3 settimane dal mio rientro dal Giappone, ieri ho affrontato il comfort food The Bear stagione 2, mangiando del comfort food (pizza). Tre puntate da mezz’ora sono finite in un attimo e non lo dico come un apprezzamento. Per ora mi sembra un tirare a campare. Non è successo di fatto nulla, se non un ulteriore approfondimento dei personaggi e l’ingresso di uno nuovo. Belle immagini, grandi primi piani, super montaggio di Chicago e di piatti di grandi chef. Bello da vedere, ma poi? La critica lo ha apprezzato, probabilmente per qualcosa che deve ancora succedere. Ho la sensazione che, di questo passo, considerando che una stagione sono alla fine meno di 5 ore, al netto di titoli e credit, ne potrebbero andare in onda, minimo minimo, altre due o tre. Il brodo si allunga.

Ho visto anche un documentario del 2014 su David Hockney, l’artista inglese che vive a Los Angeles. Gran bel film e gran bella storia. Felice di aver approfondito la vita e le opere di un’artista che ho scoperto un giorno in un museo e che da allora ho sempre apprezzato

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