#esperienze
Se fosse per me starei sempre a scrivere. Mi piace farlo. Scrivo per me stesso, per esprimere ciò che vedo e ciò che sento. L’essere letto è parte del processo, ma non è un atto necessario. Se nessuno leggesse ciò che sto scrivendo ora, lo scriverei lo stesso. Gli argomenti non mi mancano. Spunti da libri, spunti da film, esperienze da condividere, storie di persone inusuali, vita quotidiana. Psicologia, viaggi, crescita personale, cultura alternativa, nutrizione. Potrei scrivere ore e ore ogni giorno. Se lo scrivere è terapeutico, aiuta a pensare meglio, aiuta a sviluppare proprietà di linguaggio (insieme alla lettura), potenzia la memoria (ricordare qualcosa ne rafforza il percorso neuronale per recuperare il ricordo), comunque richiede tempo e il tempo non è un bene infinito. Se scrivo non leggo, se scrivo devo stare seduto o comunque fermo, alla scrivania o da qualche altra parte. Se scrivo mi devo concentrare e non posso esplorare, frequentare gente, avere nuove esperienze: questo vale in particolare quando sono in viaggio e ho un tempo contingentato per esplorare prima di tornare a casa. È necessario quindi porre un limite e scegliere di cosa scrivere e con quale approfondimento. Se scrivo un articolo lungo qui ho meno tempo per curare il mio journal. Se curo il journal non curo le note dei libri. Se curo le note dei libri ho meno tempo per leggere nuovi libri. Se scrivo sul journal o sul blog finisco per avere meno voglia di scrivere per progetti di più lungo respiro. Quel che serve, come in altri ambiti della vita, è un equilibrio. Oppure diventare un professionista della scrittura, non necessariamente uno scrittore propriamente detto. Forse dovrei provare, per un periodo definito, soltanto a scrivere e non fare null’altro. Concentrazione totale, come se fossi uno scrittore vero.
#libri
È difficile resistere alla tentazione di cominciare un nuovo libro e finire quelli già aperti e selezionati come prioritari mesi fa: le novità e le nuove scoperte incalzano. Ho capito che è inutile ragionare per trimestri, perché per quando arrivo al terzo mese, se non al secondo, i libri che ho scelto da leggere mi sembrano scelte da rinfrescare con altro, frutto di nuovi spunti: film visti, libri citati nei libri appena letti, altri libri citati in articoli o newsletter o letti da amici. Voglio provare a scortare questa lista e ad aggiornarla con più frequenza. Forse mi serve una lista intermedia dove fissare i titoli più interessanti tra i 12000 della mia collezione di ebook non letti (ancora). Alcuni dei 12000 sono lo stesso libro, in inglese e in italiano, quindi i titoli veri sono un numero leggermente inferiore e comunque superiore a 10000. Neanche troppi, considerando che non sono accumulati a caso e che la biblioteca (fisica) di Umberto Eco aveva circa 30000 titoli alla sua morte. Vado a memoria, magari mi sbaglio.
Nelle ultime 24 ho iniziato e finito La chiave di Berlino di Vincenzo Latronico. Dopo aver amato Le perfezioni, ho sviluppato interesse per Latronico e questo libro mi ha subito incuriosito.
Di fatto è un racconto autobiografico dell’esperienza dell’autore a Berlino. Racconta un po’ la città, un po’ alcune esperienze personali: il trasferimento, l’arrabattarsi per vivere, il mondo dei rave party, il mondo dell’arte contemporanea, lasciare e tornare a Berlino.
Dire che gli appartamenti erano enormi è un modo di dire che una stanza costava poco, che è un modo di dire che per campare occorrevano meno ore di servizio in sala e meno lavoretti da freelance, che è un modo di dire che si poteva scrivere.
Si percepisce che è un insieme di scritti messi insieme ma non proprio amalgamati, come riportato nelle note alla fine del libro. La prima parte mi ha annoiato. Il capitolo del rave party mi ha incuriosito e ammaliato, anche per l’apertura: Latronico non esita a parlare di droghe – sono andato su Wikipedia ad approfondire un paio di nomi che non conoscevo (2C-B e mef) – di sesso, di relazioni, di stati d’animo, senza filtro.
Nota con piacere che ho il marsupio che mi ha insegnato a comporre: acqua, barrette energetiche, diamantini, telefono, soldi; in un altro scomparto una cannuccia tagliata, una fiala di ketamina a velo, due pasticche di 2C-B a forma di missili fucsia, un cartoccio di speed come regolatore omeostatico, per bilanciare le altre droghe e mantenersi a galla.
È piú una tradizione, un corollario: andando a feste del genere ci si aspetta che esistano darkroom, per soli uomini o no; e nicchie e alcove e divani appartati e semibui, in cui previo consenso si può scopare con sconosciuti come in altre feste ci si scambierebbe una sigaretta o una birra. In certi casi sono settori interi degli spazi, tanto vasti da potercisi smarrire per ore. In quelle ore, accadono cose.
La parte finale sul ritorno a Berlino, sulla gentrificazione del vivere nelle grandi città, è stata la parte che più mi ha coinvolto.
Chi arriva a Berlino ha sempre la sensazione di arrivare un po’ troppo tardi, come se il fatto stesso di poterla esperire privasse la città di ciò che ha di piú vero.
Se cercavo un’alternativa alla Prenzlauerberg degli Airbnb e delle pizzerie pasta madre non l’avrei trovata a Milano, stretta d’assedio dagli Airbnb e dalle pizzerie pasta madre; né, se è per questo, a Lisbona, a Barcellona, a Londra, a Bologna, a Oslo, a Montréal.
Indubbiamente, vivere a Berlino oggi è molto piú piacevole di un tempo, nella misura letterale in cui offre moltissimi piaceri, estetici e gustativi, perlomeno a chi se li può permettere. Come nota Ellen, questo fa della città una metropoli internazionale: gli stessi piaceri sono offerti in certe zone di Stoccolma, di Milano, di New York, di Parigi, di Londra, a chi ci abita o ci passa per turismo. E i modi di vivere il quartiere dei turisti e dei nuovi abitanti sono sorprendentemente simili: gli stessi caffè monorigine, gli stessi laptop e vini naturali, lo stesso arredamento in casa o in Airbnb. Escluso qualche accidente storiografico ridotto ad aneddoto pittoresco per insaporire l’esperienza del luogo – il Muro i rave Ich bin ein Berliner i bombardamenti di caramelle –, passeggiando lungo il Landwehrkanal non si trova nulla di sostanzialmente diverso da ciò che offre l’Isola a Milano, Williamsburg a Brooklyn, Grünerløkka a Oslo.
Molto intimo poi l’addendum finale scritto il 25 Aprile 2023.
Berlino non è piú un’avventura: è la capitale della Germania, la città in cui pago le tasse, in cui ogni giorno faccio jogging lungo un lago artificiale cinto da palazzi liberty, in cui dopo una lunga attesa dovuta alla scarsità vado due volte a settimana in analisi.
Come in un albero evolutivo includiamo solo ciò che è stato progenitore di qualcosa, le scommesse vinte – o quelle in cui la sconfitta si sarebbe rivelata in futuro egualmente importante. Ciò che è senza esito si perde. Questo rende la lettura piú scorrevole e coerente ma finisce per tradire la natura essenzialmente sfilacciata dell’esperienza del tempo, in cui quasi tutto ciò che facciamo – per errore, per scelta, per capriccio di sorte – non ha esito. Alcune scommesse riescono, altre falliscono: ma il grosso della vita non è una scommessa, e basta.
Il titolo viene da una chiave, inventata per far sì che gli inquilini di un grande condominio prendessero l’abitudine a chiudere il portone principale. In pratica la inserisci e la togli una volta che sei entrato (o uscito):
Il problema è stato risolto da un fabbro locale, che ha inventato una bizzarra chiave geminata: un’asta senza impugnatura con la stessa mappa su entrambe le estremità.
Questa chiave che ti permette di tornare ma non di guardarti indietro non si è mai diffusa fuori dal suo luogo d’origine: è nota come berliner Schlüssel, la chiave di Berlino.
Lo consiglio a chi vive all’estero, a chi ha vissuto all’estero, a chi vorrebbe (o avrebbe voluto) vivere all’estero, a chi mitizza o conosce Berlino.
Molte novità succose, tracciate alla loro uscita mesi fa in inglese e oggi tradotte. Un breve elenco.
La fine delle voglie di Mark Scharzker, sul mangiar bene.
Meglio la copertina italiana o quella inglese?
Corpi dipinti di Matt Lodder, con 21 storie di tatuaggi e uomini.
Il cervello dei maschi di Louann Brizendine sulla mente maschile.
Perdersi del premio Nobel Annie Ernaux.
Wow di Dacher Ketlner, sulla meraviglia quotidiana.
Curiosità anche per il nuovo libro di Camila Raznovich, dopo aver apprezzato il suo memoir: Non metterti comodo.
#citazione
Ho regnato per più di cinquant’anni nella vittoria o nella pace, amato dai miei sudditi, temuto dai miei nemici e rispettato dai miei alleati. Ricchezze e onori, potere e piacere hanno aspettato la mia chiamata, né sembra che nessuna benedizione terrena sia mancata alla mia felicità. In questa situazione, ho diligentemente contato i giorni di pura e genuina felicità che sono caduti nella mia sorte: sono quattordici.
Abd al-Rahman III
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