Alcuni di loro glielo chiedono per compassione, altri con sospetto: i primi sono dispiaciuti per lui perchénon credono che sia single per scelta ma perchégli è stato imposto; i secondi nutrono una sorta di ostilità nei suoi confronti, perchéritengono che il fatto di essere single sia una sua scelta, un’arrogante violazione di una legge fondamentale che regola l’età adulta. In ogni modo, essere single a quarant’anni è diverso da esserlo a trenta, e anno dopo anno diventa meno comprensibile, meno invidiabile, e più patetico, più sconveniente.
Una vita come tante
Una vita come tante è un libro straordinario (Grazie Alessandro!) per tanti motivi. Pur essendo pochi i punti di contatti col protagonista – per fortuna, considerando gli abusi e i traumi che ha subito nel tempo – mi sono riconosciuto in alcuni dei passaggi, come quello sopra sull’essere single a quarant’anni. Frequentando un numero limitato di persone in questa fase della mia vita, che corrisponde a persone che mi sono in gran parte scelto, non vivo questo problema come alcuni anni fa. Il mondo delle relazioni professionali aiuta a espandere i propri orizzonti, ma mette in contatto persone diverse, non sempre sensibili o intelligenti (dal punto di vista emozionale). Posso dire quindi che qualcuno la domanda me l’ha posta, nella sua testa o direttamente. Non è neanche una questione culturale nazionale, perchécuriosamente questa domanda mi è stata più spesso posta da viaggiatore in altri paesi.
Per quanto viviamo nel 21esimo secolo e ci riteniamo moderni, soprattutto da occidentali, siamo ancora lontani dal comprendere l’altro e le relazioni, per non dire di sentimenti ed emozioni. Discorso simile si potrebbe fare per l’amicizia, concetto purtroppo adulterato dall’ascesa di F. e dall’idea per cui siamo tutti amici, con una a così minuscola che neanche si vede più.
Perchél’amicizia era considerata ammirevole se avevi ventisette anni e inquietante se ne avevi trentasette? Perché era vista in modo meno positivo rispetto a una relazione? Chi poteva dire che non fosse addirittura migliore? Era il rapporto tra due persone che rimanevano vicine, giorno dopo giorno, unite non dal sesso, dall’attrazione fisica, dai soldi, dai figli o dalle proprietà, ma solo dalla comune decisione di andare avanti, dalla dedizione di entrambi a un legame che non sarebbe mai stato codificato. Amicizia significava assistere al lento e inesorabile susseguirsi di tribolazioni, ai lunghi periodi di noia e agli occasionali trionfi. Significava sentirsi onorati del privilegio di essere vicini a un’altra persona nei momenti più cupi e, in cambio, sapere di poter condividere i propri.
In questi giorni, complice la lettura di Una vita come tante, mi sto interrogando sul concetto di amicizia, su cosa comprende una relazione d’amicizia che voglia definirsi tale. Oggi come non mai fatico a considerare amici le persone con cui non ho mai l’occasione di parlare di temi profondi e personali: sei felice? ti senti fisicamente e mentalmente bene? sei soddisfatto delle tue relazioni personali e del tuo lavoro? Provi emozioni che non vorresti provare? posso fare qualcosa per te, anche fosse soltanto ascoltarti e condividere qualche esperienza?
Se l’amicizia non comprende un livello minimo di intimità, di fiducia e di apertura, se non c’è il momento per approfondire chi siamo veramente, quali sentimenti sviluppiamo e come ci sentiamo o di cosa soffriamo, perché siamo amici? Forse siamo banalmente conoscenti e dovremmo comportarci come tali. Salutarci civilmente quando ci vediamo, condividere qualche interesse comune, informarci superficialmente su come stai e come va e salutarci di nuovo, lasciando il tempo e l’energia che meritano le amicizie vere o investendo tempo ed energia per svilupparne di nuove. Alzare l’asticella significherà gioco forza perdere qualche contatto, ma la perdita è limitata, perchélascia spazio a nuove opportunità e a tempo da dedicare a chi lo merita.