Venerdì 8 Dicembre 2023

#esperienze

Probabile che dal 2024 cambi di nuovo modalità di blogging. Qui solo saggi brevi e rielaborazioni da libri letti e studiati. Il quotidiano lo lascia all’altro blog personale, dove mi sento anche più libero di scrivere ciò che voglio. Fino a fine anno continua il daily qui o anche qui.


#passato

11 anni fa

Ero già sulla buona strada: lavoro non al centro della vita, tempo per me, camminate al mare, ritmi rilassati, lettura. Buone abitudini che generano interessi composti con gli anni. Forse è anche per questo che mi dicono che non dimostro gli anni che ho?

10 anni fa

Ero in Messico per lavoro e per piacere. Bella esperienza.


#libri

Continuo a scoprire libri che mi tentano.

Dysphoria Mundi

Non sappiamo come sia cominciata, difficile dire se all’origine della rivoluzione che avanza ci sia stato il primo hashtag di Mee Too, o se tutto abbia avuto inizio nel 1975, quando un centinaio di lavoratrici sessuali ha occupato la chiesa di Saint-Nizier, a Lione, o nel 1851, quando ad Akron la femminista nera Sojourner Truth si è alzata in piedi in una convention di donne bianche e, facendo tuonare il suo sconcertante “Non sono forse una donna?”, ha difeso per la prima volta nella storia la libertà e il diritto al voto delle donne razzializzate. Potremmo spostare l’inizio un po’ in avanti, o un po’ indietro. Dipende se guardiamo agli eventi da una prospettiva individuale o cosmica, nazionale o planetaria, e se ci sentiamo o meno parte di una storia di resistenza che ci ha preceduto e proseguirà dopo di noi. Non è facile dire come inizi esattamente un processo di emancipazione collettivo. Si può sentire però la vibrazione che produce nei corpi che attraversa. E certamente non lo si può riassumere in un unico racconto. La peculiarità dei movimenti ecologisti, transfemministi e antirazzisti è proprio la moltiplicazione delle voci, la varietà delle strategie, la pluralità dei linguaggi.

Dysphoria Mundi

Api grigie

[…] Adesso era tutto tranquillo. Da due settimane non si sparavano più a vicenda. Si erano stufati, oppure economizzavano pallottole e granate per i tempi a venire. Non era nemmeno da scartare l’idea che non volessero disturbare gli ultimi due abitanti di Malaja Starogradovka, abbrancati alle loro case-aziende con un’ostinazione ancora maggiore dei cani all’amato osso. Gli altri abitanti del villaggio avevano meditato di andare via sin dall’inizio delle ostilità. E così avevano fatto. Tra la paura di perdere la vita o i propri beni aveva prevalso la più forte. Piuttosto che il timore di morire, la guerra aveva generato in Sergeič una certa insensibilità, un’improvvisa indifferenza per tutto ciò che lo circondava. Un po’ come se tutti i sentimenti si fossero disintegrati, a eccezione del senso di responsabilità. E pure quest’ultimo, in grado di agitarlo a qualsiasi ora del giorno e della notte, riguardava esclusivamente le sue api. Adesso erano nel periodo di svernamento; le pareti divisorie all’interno degli alveari erano spesse, tra i telaini e il coperchio c’era un foglio di feltro, ai lati esterni delle piastre di metallo. Gli alveari erano chiusi nel capanno, ma ciò non li salvaguardava dal possibile arrivo di un malvagio proiettile che sarebbe potuto giungere da qualsiasi parte. Le schegge avrebbero potuto forare il metallo, ma a quel punto si sarebbero piantate lì, oppure avrebbero avuto abbastanza potenza da trapassare le pareti di legno e seminare la morte tra le api?

Api Grigie

Eravamo dei grandissimi

Notti fredde? Sesso caldo! 0173…”

“Ti piacciono le patatine? Fatti una scorpacciata! La maionese ce la metti tu”.

“La caccia alla passera è aperta 364 giorni all’anno: 0170…”

Leggevo gli annunci sul giornale bevendo il liquore di mia madre. Lei era a letto, la sentivo respirare dalla porta accostata di camera sua. Misi il telefono sul tavolo, mi scolai due bicchieri e composi qualche numero. Chiesi alle signorine età, colore dei capelli, misura dei seni e quanto pesavano — no, non i seni —, se erano depilate e così via. Mi sentivo un po’ strano a domandare cose del genere, ma era necessario. Un metro e settantacinque? Bene. Fisico non asciuttissimo, no, non giunonica.

Presi l’autobus A per Plagwitz, il quartiere delle fabbriche semidiroccate dall’altra parte della città. Lì di notte erano vuoti sia i bus che le strade.

Sul campanello dell’appartamento c’era scritto “Meier”, aspettai il tempo di riaccendere cinque volte la luce e fumare una sigaretta anche se volevo smettere, me lo ero ripromesso uscendo di galera. Poi suonai, tre squilli brevi e uno lungo come mi aveva detto al telefono. La ragazza che aprì la porta aveva solo una vaga somiglianza con lei ma ormai era inutile sottilizzare, ci avrei messo la fantasia necessaria.

«Ciao».

«Ciao, entra».

Indossava solo una specie di costume da bagno, la seguii lungo il corridoio fino a una camera con un grande letto e la luce rossa. C’erano anche un tavolo con uno stereo di quelli compatti, un doppio porta-CD e due sedie. «Togliti il giubbotto e siediti, per cominciare».

«Quanto costa un’ora?»

Di colpo mi sentivo a mio agio e pensavo soltanto a lei. In questo la luce rossa e soffusa aiutava.

«Duecento» rispose, «che comprendono un rapporto orale — reciproco, se lo desideri — e massimo tre rapporti completi».

«Va bene» dissi, «e per pagare?»

«In anticipo».

Tirai fuori il borsellino viola di mia madre, lo avevo preso in prestito perché non ne possedevo uno mio e ci avevo messo i soldi della galera. I venti marchi che c’erano dentro li avevo lasciati a mia madre, sotto la bottiglia. Le diedi due bigliettoni e lei disse: «Spogliati, torno subito». «Ti avverto» la preparai, «ho sedici tatuaggi». La ragazza uscì ridendo e ormai avevo raggiunto un punto in cui vedevo ridere lei. Aveva la risata e guardandola ridere vidi i suoi denti.

«Qual è il tuo vero nome, Michelle?» le chiesi quando tornò. «Cleopatra» rispose, e scoppiò di nuovo a ridere come lei. Nel frattempo mi ero spogliato e anche Michelle era nuda, con la pelle lucida. Si sedette davanti a me, le leccai i seni scoprendo che sapevano di crema per il corpo. Le succhiai i capezzoli così forte che temevo di farle male, ma lei non si lamentò. Le misi dentro un dito, sfregai la faccia sulle grandi labbra e cominciai a leccarla. Diosanto, avevo quasi dimenticato quel calore lì. Lei starnutì e riscoppiò a ridere, io mi sdraiai di schiena e le ordinai: «Montami». «Un attimo». Infilò una mano tra i cuscini e tirò fuori un goldone. «Simsalabim!» disse chinandosi su di me.

Eravamo dei grandissimi

Manifesto controsessuale

Dall’introduzione, un libro-dildo:

Il manoscritto di Le 120 Giornate di Sodoma è un rotolo cartaceo di 12 metri composto da foglietti di carta incollati insieme, scritti fronte-retro con inchiostro nero. Sade lo scrisse in 37 notti durante la sua prigionia del 1785 nella Bastiglia, nella quasi totale oscurità e con una grafia minutissima. Lo nascose dentro un dildo di legno cavo per evitare che lo trovassero i carcerieri. Qualsiasi cosa scrivesse veniva confiscata e giustificava nuove accuse immediate. Sade dichiarò che passava il tempo leggendo, scrivendo, mangiando e masturbandosi – più di sei volte al giorno, disse. Era per queste pratiche di masturbazione che aveva chiesto a sua moglie, Renée-Pélagie, di procurargli un dildo di legno per la penetrazione anale. Nascosto nel muro di pietra della prigione, il dildo salvò dalla presa della Bastiglia il manoscritto che alla fine venne recuperato da Arnoux de Saint-Maximin e pubblicato per la prima volta più di un secolo dopo, nel 1904, dal dottore tedesco Iwan Bloch, con lo pseudonimo di “Eugène Dühren”.

Dalla sopravvivenza del testo più stimolante di Sade impariamo non solo che un dildo cavo può essere un contenitore utile a occultare segreti, o che in caso qualsiasi dildo può eventualmente contenere un libro, ma anche che un libro può fungere da dildo diventando una tecnica per fabbricare sessualità. Come un dildo, un libro è per il corpo sessuale una tecnologia di modificazione culturalmente assistita.

In questo senso, anche questo libro è un dildo. Un libro-dildo e un libro sui dildo che si propone di modificare il soggetto che lo usa.

Manifesto controsessuale

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