Andare alla deriva e sentirsi bene

Even though the world has changed so much, if you are any kind of outsider, you’re definitely not in the center of the mainstream. You’re on the edges of things, and it’s very easy to find yourself drifting further and further away. For some people, that’s fantastic, and they love being in that place. For other people, it can be very painful.

Andrew Haigh

Drifting, in inglese, significa andare alla deriva, andare verso il margine, allontanarsi dal centro, dal mainstream. Andrew Haigh, regista di Estranei – in sala in Italia dal 29 Febbraio – ragiona sui personaggi del suo ultimo film e su chi si può identificare in questo percorso.

Caso vuole, ma non direi si tratta affatto di caso, ho appena visto un altro film il cui protagonista va alla deriva. La location cambia da Londra a Berlino, l’età del protagonista varia (e di conseguenza il bagaglio di esperienza), ma anche questo descrive un andare alla deriva. Questa volta in modo ancora più rapido e netto. Non per niente il titolo del film è proprio Drifter.

Se mi leggi da qualche settimana/mese a questa parte, avrai percepito che questo andare alla deriva è qualcosa che mi appartiene, soprattutto da circa un anno a questa parte.

I miei consumi culturali, le mie frequentazioni e più profondamente i miei valori fondanti, il mio essere e il mio sentire, sono responsabili di questa deriva, di questo allontanamento progressivo. La mia identità non è cambiata, anzi, si è rafforzata. I compromessi sono diminuiti. Mi sento più me stesso. Più che mai. Il sentimento che mi accompagna è ambivalente. Da un lato sono più felice che mai: le mie scelte sono sempre più allineate al mio essere e ai miei valori. Questa felicità quasi mi spaventa: quanto può continuare? Me la merito? Da un altro percepisco una malinconia che mi accompagna quotidianamente, soprattutto dall’inizio dell’anno. La consapevolezza di essere circondato (per lo più) da persone che non mi comprendono e che non sono nelle condizioni di poterlo fare. Persone semplici, poco curiose della vita, troppo prese dal lavoro, con un orizzonte limitato e uno sguardo miope sul mondo. Non mi sento stimolato.

L’ennesima conferma di questo sentimento c’è stata ieri. Raramente ricevo inviti a momenti di socializzazione da amici, insieme a loro amici. Ieri ho avuto una di queste rare occasioni e, come succede quasi sempre, accetto con uno spirito aperto, di confronto e di ascolto, oltre che di contaminazione. Non che avessi chissà quali aspettative, ma la serata si è rivelata essere poco coinvolgente. Un’occasione di contatto con il mainstream, utile, per quanto deprimente. Ho verificato con mano come ci si può entusiasmare e divertire con poco. Indagare sulle cause, a questo punto, non mi interessa. C’è solo da prenderne atto. Dichiarare l’ora del decesso, di molti dei cervelli in cui mi imbatto, e andare oltre.

Ho avuto la riconferma che passare una serata in quel modo, con quella compagnia, conversando su quegli argomenti, non è per nulla preferibile a una serata casalinga, passata a: cucinare cibo sano e semplice, vedere un film scelto con cognizione di causa e andare a dormire non troppo tardi, così da avere il tempo la mattina seguente di svegliarmi prima dell’alba, scrivere sul mio journal o fare altro. Quella compagnia non è affatto necessaria. Posso stare da solo, divertirmi e sentirmi bene, come questa sera, senza che sia un problema. L’ideale romantico è ciò che condiziona il nostro comune sentire sull’essere soli e sullo stigma che ci colpisce. Basta rendersene conto e farsene una ragione.

“The Romantics painted a moving portrait of coupledom — and thanks to their artistry and the examples of their own lives, they convinced the modern world. But in the process, the Romantic movement had a catastrophic effect on our assessment of what it might mean to remain by ourselves. Romanticism turned solitude from a respectable and profound choice to evidence of pathology. Through the lens of Romanticism, it seemed that there could be no reason why a person might opt to be by themselves other than being in some way emotionally diseased or sexually deviant.”

How to Survive the Modern World

Cito anche una graphic novel non fiction sul tema della solitudine nell’era moderna: Seek You.

Il problema non è tanto nel tempo che si passa da soli, ma su come uno si sente rispetto allo stare soli.

Io mi sento bene. Evviva!

Il resto non conta e non è un mio problema.


Post scritto ascoltando Johnny Come Home.

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