Lo stato delle mie relazioni personali

In sala d’attesa, solo con lo smartphone, riprendo un saggio scaricato mesi fa. The End of Solitude.

Uno dei saggi che compongono il libro parla, guarda caso, di amicizia, tema su cui torno spesso a riflettere. Il saggio comincia così:

We live in an age when friendship has become both all and nothing at all. Already the characteristically modern relationship, it has in recent decades become the universal one: the form of connection in terms of which all others are understood, against which all others are measured, into which all others have dissolved. Romantic partners refer to each other as boyfriend and girlfriend. Spouses boast that they are each other’s best friend. Parents urge their young children and beg their teenage ones to think of them as friends. Adult siblings, released from the structural competition that in traditional society made them anything but friends (think of Jacob and Esau), now treat one another in exactly those terms. Teachers, clergymen, and even bosses seek to mitigate and legitimate their authority by asking those they oversee to regard them as friends. We’re all on a first-name basis, and when we vote for president, we ask ourselves whom we’d rather have a beer with. As the anthropologist Robert Brain has put it, we’re friends with everyone now.

[…]

we can understand why friendship has become the characteristically modern relationship. Modernity believes in equality. Friendships, unlike traditional relationships, are egalitarian. Modernity believes in individualism. Friendships serve no public purpose and exist independent of all other bonds. Modernity believes in choice. Friendships, unlike blood ties, are elective; indeed, the rise of friendship coincided with the shift away from arranged marriage. Modernity believes in self-expression. Friends, because we choose them, give us back an image of ourselves. Modernity believes in freedom. Even modern marriage entails contractual obligations, but friendship involves no fixed commitments. The modern temper runs toward unrestricted fluidity and flexibility, the endless play of possibility, and so is perfectly suited to the informal, improvisational nature of friendship. We can be friends with whomever we want, however we want, for as long as we want.

The End of Solitude

L’amico nella nostra era è qualcosa che coincide sempre di più, nel comportamento comune, con l’amico su Facebook, ovvero una conoscenza superficiale, coltivata online, senza particolare impegno, da attivare in caso di necessità (= bisogno di una seduta psicoterapica gratuita o di qualcuno che ascolta i tuoi problemi, di coppia, di lavoro, d’amore non corrisposto, di insoddisfazione rispetto alla vita). Un amico vale l’altro, considerando il numero elevato che li contraddistingue e il fatto che, lasciando all’algoritmo la definizione della priorità sul feed, se qualcuno scompare dalla piattaforma finisce che non ce ne accorgiamo neanche o, nella migliore delle ipotesi, il vuoto creato viene rapidamente riempito da altre relazioni.

Non sto a fare il riassunto delle puntate precedenti relativo alla mia uscita da Facebook & Co. e alle conseguenze relazionali del non vivere più la socialità nei giardini recintati del web. Ormai sono passati 10 anni e non mi pento assolutamente di quella scelta, anzi. Ciò su cui ho riflettuto negli ultimi giorni è come il mio universo di relazioni personali più strette, amicizie di fatto, è in continuo mutamento e ha raggiunto una nuova fase.

Di fatto ho quasi totalmente smesso di frequentare gli amici storici, ovvero quel network di relazioni create negli anni, dalla scuola all’università, alla vicinanza geografica, amici degli amici e gruppi con interessi in comune, più la vita politica e culturale locale. Quel network è ormai quasi del tutto scomparso. Estinto.

Negli ultimi 6 mesi, escludendo una sola persona, con un rapido calcolo, del mio circolo più ristretto non ho visto quasi più nessuno e chi ho visto, l’ho fatto per una volta o due soltanto o, nel caso di relazione più stretta, 4 volte in tutto. Questi erano gli amici che, prima della pandemia, vedevo con una frequenza settimanale o almeno mensile, oltre a sentirli online molto più spesso, se non quotidianamente. Oggi non li sento online e non li vedo neanche più. Cosa è successo?

Molto semplicemente ho deciso, coscientemente, di non coltivare più alcune relazioni e di investire su altre. Relazioni più recenti o, in qualche caso, di lunga data ma sfilacciate, caratterizzate da un unico fattore comune: un alto livello di affinità. Le altre? Ho deciso di lasciarle al proprio destino. Non cerco più nessuno, neanche condividendo online, singolarmente, pensieri o contenuti. Ho smesso. In qualche caso ho cominciato anche a declinare inviti che in precedenza avrei accettato di default, privilegiando altre relazioni.

Risultato? Ho una vita sociale forse anche più ricca e intensa di prima, quando dovevo sempre rincorrere le persone per avere la loro attenzione. Non mi manca nessuno del mio network precedente e non ho neanche nessuna voglia di riallacciare relazioni ormai scese al livello di conoscenze e forse neanche più quello. Dei conoscenti qualcosa sai e ogni tanto li incroci. Queste persone non so cosa fanno, né chi frequentano, nulla. Né online, né offline. Di fatto non mi interessa nulla di loro. Non più.

L’amicizia è una capacità che richiede pratica, tempo e impegno

Arthur Brooks, La seconda onda

Il mio network precedente ha mancato, alla prova dei fatti, di pratica, di tempo e di impegno, in momenti diversi, per motivi diversi. Non li biasimo, non provo rancore. Forse un po’ di dispiacere. Il risultato pratico, come succede in questi casi, è che il vuoto è stato riempito da altre relazioni. Non tanto come riempitivo, ma come investimento di energia e di tempo in persone in cui c’è una base solida, su cui consolidare una relazione personale o almeno questo è lo spirito e il tentativo che sto percorrendo.

Sono passato per tre fasi: mi sono prima chiesto il perché questo fenomeno di allontanamento stava succedendo e quale responsabilità io avessi in tutto ciò, poi ho capito che dovevo accettare e lasciar andare. La terza fase, ormai in atto da quasi un anno, è rivolgere la mia attenzione altrove, anche declinando, se necessario, tentativi fuori tempo massimo per tenere in vita relazioni ormai avvizzite e moribonde. Non sono per rianimare nulla che sia ormai a uno stato vegetativo, neanche un’amicizia di lunga data. Meglio prendere atto dell’assenza di vita e staccare la spina.

Se eri parte del mio network, leggere quanto sopra non ti potrà sorprendere. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e fa i conti con sé stesso, guardandosi allo specchio ogni mattina. Io dormo sonni tranquilli e, pur con qualche dubbio occasionale, sono più felice della mia vita relazionale ora di quanto lo fossi prima, per quanto le mie relazioni sono più limitate in termini di quantità e di tempo. Meglio così.

Il cambiamento è vita. Non c’è da combatterlo, ma da abbracciarlo.

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