Sono imperfetto e va bene così

Einaudi ha appena tradotto il libro The Perfection Trap in Elogio dell’imperfezione di Thomas Curran.

L’autore è noto per un TED talk sullo stesso argomento.

Libro interessante perché mi permette, come per libri simili, di confrontare l’esperienza e il punto di vista dell’autore sulla società con la mia esperienza personale. Sono al 10% del libro, quindi è presto per dare giudizi, ma l’argomento mi attrae e mi permette anche di guardarmi dentro.

Più sprofondiamo nella trappola della perfezione tesa dalla nostra cultura, più il perfezionismo ci risucchierà linfa vitale.

Elogio dell’imperfezione

Se c’è un motivo tra tutti per cui, forse, sto bene con me stesso, è perché ho accettato di essere imperfetto e, cosa ancora più importante e conseguente, me ne frego del perfezionismo.

Non ho un fisico perfetto e non ambisco ad averne uno. Se non piaccio a qualcuno, è un suo problema e non mio. Non devo cercare di aumentare bicipiti e pettorali perché questo è l’ideale di bellezza. Ho il fisico che ho. Ciò che importa è la salute e il benessere psicofisico, ben altro da un fisico scolpito o muscoloso. I muscoli eccessivi sono uno spreco di energia per l’organismo. Non ne ho bisogno e non devo piacere agli altri per sentirmi bene. Mi piaccio come sono, imperfetto rispetto al canone di bellezza dominante.

Certamente aiuta non frequentare, se non saltuariamente, media mainstream. Nessuna pressione dai social media e dall’immaginario dominante. La cultura dell’apparenza e dell’immagine non è mia, mi respinge. Chi persegue questi valori non fa per me. Evitare la televisione e la pubblicità certamente contribuisce a tenere libera la mia immaginazione, senza l’esempio di corpi di un certo tipo, promossi per vendere prodotti di cui non bisogno.

A cascata non ho bisogno di guadagnare denaro (e quindi di lavorare) per soddisfare acquisti associati all’ideale di successo. Non ho bisogno di un’auto più potente, né di una casa più grande, né di un guardaroba più ampio, né di più paia di scarpe, né di oggetti di design con cui riempire la casa, né di frequentare locali alla moda, né di esperienze esclusive da fotografare per Instagram. Ho quindi più tempo libero per fare ciò che mi diverte e che non costa niente o quasi: passeggiare in riva al mare, leggere un libro, vedere un film, chiacchierare con un amico, pensare, non fare nulla.

Non ho bisogno di fare carriera, né di essere informato sui trend del momento, né di sapere quello che vedono o leggono o ascoltano tutti. Ha ragione Curran a dire che, anche se ci vogliamo sentire unici, ciò a cui tendiamo, soprattutto da adolescenti ma non solo, è essere accettati dal gruppo, quindi a essere pecore nel gregge.

C’è un filo conduttore che vedo tra l’accettare di essere imperfetto, rinunciare alle sirene del perfezionismo, scendere dalla ruota del criceto del lavoro al primo posto, adottare uno stile di vita minimalista, preferire esperienze a oggetti, apprezzare le piccole cose della vita quotidiana, preferire le relazioni fisiche a quelle virtuali, prendersi cura di sé stessi: ridurre i condizionamenti esterni, scegliere con la propria testa, seguire la propria strada, accettandone le conseguenze con responsabilità e consapevolezza.

Va da sé che non mi posso specchiare in un ambiente sociale in cui:

  • l’orario di ufficio assorbe qualsiasi altra cosa,
  • il lavoro sta al primo posto,
  • la posta in arrivo deve essere svuotata costantemente,
  • la produttività è un totem da rincorrere senza sosta,
  • la vita è immaginata come un insieme di cose da fare e da smarcare,
  • le relazioni sono virtuali e secondarie, se non inserite in un intervallo di tempo come tutte le altre attività,
  • il sonno va rinviato per vedere almeno un episodio della serie tv del momento,
  • non c’è tempo per uno stile di vita che promuove il benessere psicofisico,
  • il sonnellino è un lusso per pochi,
  • il tempo è denaro,
  • la posta elettronica va letta e risposta anche in vacanza,
  • Whatsapp va sempre controllato perché i clienti mi scrivono lì.

La perfezione non esiste e il perfezionismo è una malattia sociale. Detto questo continuo a credere nella responsabilità personale e nel cambiamento che parte da dentro di noi. Districarsi da un meccanismo in cui siamo intrappolati può sembrare impossibile, ma credo che la battaglia contro il perfezionismo vada combattuta ogni giorno, a partire dalle piccole cose. Il tempo libero non deve essere impegnato e spremuto fino all’ultimo secondo, come l’orario di lavoro non può e non deve essere una riunione dietro l’altra per finire col portarsi al lavoro a casa.

La pressione sociale non smetterà di premere, ma ciò non significa che non si può fare nulla. La televisione si può spegnere. Lo scroll infinito si può fermare. Certe app si possono limitare o cancellare. La pubblicità si può bloccare o limitare. Persone con valori diversi possono essere allontanate. Certi beni posizionali possono essere lasciati nel negozio e si può lavorare meno. Si può spendere il proprio tempo libero senza che questo sia attrezzato: non c’è bisogno per forza di andare a cena, prendersi un caffè da 5 euro, incontrarsi al centro commerciale. Queste sono scelte individuali, a prescindere dalle abitudini della massa.

La salute mentale, la tranquillità, la pace interiore si conquistano giorno dopo giorno cambiando prospettiva e punto di vista. Rinunciare alla perfezione è un passaggio chiave in questo percorso.

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