Vita intellettuale

Coltivare la vita intellettuale è ormai da anni un mio obiettivo prioritario, insieme alla salute, ai viaggi e alle relazioni. Non potrei vivere diversamente. Premesso che ognuno vive la propria vita come meglio crede, consapevolmente o inconsapevolmente, col pilota automatico o imbracciando il volante, provo sempre un po’ di compassione quando sento chi non ha una vita intellettuale, non ha tempo per coltivarla, non ha l’energia per coltivarla o neanche sente l’esigenza. Vite in cui il lavoro e le responsabilità (spesso prese con leggerezza ma questo è un altro discorso) vincolano al punto tale da non avere desideri o volontà, se non per consumare qualcosa, qualsiasi cosa, nella migliore delle ipotesi scelto da un algoritmo di raccomandazione (meglio di niente!). No, la mia vita non è niente di tutto ciò. Il 95% delle scelte sono scelte consapevoli, che si tratti di vedere l’ultimo film di cui parlano tutti o di un film sconosciuto anche ai cinefili patentati. Racconto un recente aneddoto per descrivere la dinamica della scoperta continua.

Con l’amico M abbiamo deciso questa settimana di vedere F for Fake. Ce l’avevo pronto da settimane, M lo ha visto e quindi è venuto il mio turno. Sulla carta niente di particolarmente invitante: un documentario prodotto 50 anni fa da Orson Wells sul falso. Eppure è un film citato in contesti diversi ed è considerato da vedere. Lo vediamo.

Esperienza assolutamente entusiasmante, ricca di spunti:

  • lo scetticismo verso gli esperti che hanno un interesse nell’esprimere le proprie opinioni;
  • lo scetticismo verso un mondo dell’arte influenzato anche qui dall’interesse economico di galleristi, mercanti, curatori di musei;
  • un film capolavoro sul piano del montaggio;
  • Orson Wells che sfrutta il documentario per raccontare di sé e del suo percorso professionale tra magia, illusione, percezione;
  • le vite dei due personaggi principali, il falsario d’arte e lo scrittore che scrive del falsario, a sua volta autore di un falso (per cui andrà 17 mesi in prigione).

È stato bello, come sempre del resto, avere l’occasione di confrontarmi con un’altra persona che ha visto il film e che ne sa di cinema e comunque che ha sempre qualcosa da dire.

Il giorno dopo, sfruttando gli strumenti a mia disposizione – la ricerca full text di Calibre, il software con cui gestisco la mia collezione di libri digitali e la ricerca full text del database di Z-Library – vado a vedere quali libri, tra i miei posseduti e non, citano F for Fake. Risultato: 13 libri in inglese e 20 in italiano. Vado a leggere qualche riferimento e trovo alcune considerazioni sul film e sulla psicologia di Orson Wells in un libro che parla del non lavorare: Not Working.

Engulfed by desperate and unsustainable creative and financial demands, Welles was prone to feelings of inadequacy, a tormenting suspicion that he should be achieving more and better, leading to episodes of depressive collapse. Such moments show us something of the abject state of shame and self-disgust he sought to escape through manic overactivity. Perhaps Welles couldn’t abide slowness because it would give him the time to be with and contemplate himself.

[…]

The health problems arising from his rapidly expanding girth were numerous and chronic by the time Welles had reached the age of forty. His joints and feet were in constant pain, while to his severe asthma were added frequent bouts of tonsillitis. The pattern of punishing periods of frenetic activity interspersed with odd retreats to his bed became more entrenched – ‘the real explanation,’ writes Callow, ‘of many of his mysterious absences’.

There is something oddly poignant about these abrupt disappearances, some intimation of an entropic collapse lurking behind his tireless creative bombast and self-inflation. Welles’s visible grandiosity was twinned with a concealed inadequacy, an ambiguity especially marked in his work as a stage actor. He augmented the direction of each production with overall creative control over design, lighting and sound, ensuring that his attention was occupied by multiple conceptual and practical demands at every moment of rehearsal.

Not Working

Mi incuriosisce la storia dei due personaggi principali del documentario e, di pagina in pagina, finisco sulla storia di un personaggio secondario del film: l’accompagnatore di De Hory, il falsario d’arte. In un articolo racconta la sua versione della storia, a distanza di molti anni.

Da un altro libro su film che non vedrai mai, trovo una considerazione intelligente di Orson Wells sull’arte (e non solo). L’importanza di porsi dei limiti:

JAGLOM: It reinforces a great lesson Orson gave to me in my life. As I’m talking to you, it’s over my editing machine. Every day, I come in here to edit my movie, and there it is: “The enemy of art is the absence of limitations.

He said it to me one day at lunch, and it’s the most valuable thing anybody has ever said to me. It means simply that if you have no limitations, if you have all the money in the world, all the time, you can create a lot of things, but it’s not about art. You can get special effects, you can get great production … but if you don’t have it, if you’re limited in money or time, you’re forced to be creative, to find a creative solution and an artistic answer to a question. That’s exemplified for me, more than anything, in the great work that is F for Fake.

It just reinforced, tremendously, that film is a magic place where you can do anything, and you should not be bound by any rules.

The Best Film You’ve Never Seen

Vado a vedere che film ha girato Orson Wells e scopro una versione de Il processo di Kafka e lo aggiungo alla mia coda di visione.

Scopro anche libri che non conoscevo sul falso nell’arte, compresa una storia su Van Gogh a cui è dedicato un intero libro:

Una scoperta continua. Il tutto cominciato con un film d’autore e un po’ di curiosità.

La vita continua.

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