Non so se diventerà una rubrica, ma la vita intellettuale prende spesso il sopravvento in queste giornate invernali, fredde, con sole, pioggia o nebbia. Per lo più in casa. Dovrei resistere e dedicarmi ad attività più organizzate e con obiettivi specifici, ma spesso non ci riesco, come ieri. Ogni scelta ha delle conseguenze, ma posso dire che il tempo dedicato a questo perdersi nell’arte è sempre un’esperienza. Non tutti gli eventi e le scoperte sono concatenati, anche se spesso c’è un filo conduttore, almeno che unisce alcuni di questi. Metto un timer di 30 minuti perché potrei starne a scrivere tutta la mattina.
Jean-Pierre Melville e Le Samourai
Come ho fatto ad arrivare a 48 anni e non aver visto, fino a ieri, almeno un film d Jean-Pierre Melville? Quanti registi come Melville non ho ancora avuto il piacere di conoscere? Tutto ciò dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la cultura è una scoperta continua, a tutte le età, esperti o meno esperti.
Melville è l’autore di Le Samourai, che in italiano è stato curiosamente tradotto come Frank Costello, faccia d’angelo, nonostante il protagonista si chiami Jef e non Frank. A scavare trovi che il personaggio del film potrebbe essere ispirato a un Frank Costello, ma questo lo hanno capito solo gli italiani evidentemente, più dello stesso regista e sceneggiatore che ha chiamato il protagonista Jef. Misteri italiani, insignificanti rispetto a ciò che segue.
Le Samourai (1967) è un film iconico. Se non lo hai visto e ti piace il genere crime neo-noir, beh, lo devi vedere, subito! Tra l’altro online circola una versione 4K restaurata nel 2022. Il film è iconico perché racconta la vita di un killer di professione, freddo e determinato: esiste per compiere il suo lavoro e niente altro, senza passato e senza futuro. Un samurai perché ha un proprio codice. Il film è stato poi citato o ripreso da vari film altrettanto famosi o forse di più per le nuove generazioni perché più recenti: The Driver (1978), prontamente scaricato, Taxi Driver di Scorsese, Drive di Nicholas Winding Refn. A sua volta Melville riprende This Gun for Hire, film del 1942.
Su Le Samourai si potrebbe parlare per ore, considerando il genio di Melville. Melville è considerato l’ambasciatore del cinema americano noir in Francia. I critici del tempo snobbarono il film per il suo non avere precisi riferimenti politici della Francia del tempo, in fermento. Proprio il suo non averne lo ha fatto viaggiare nel mondo e ha ispirato, per esempio A Better Tomorrow e The Killer di John Woo, che lo cita come suo film preferito in un libro. Melville è un paraculo perché affabula fin dalla presentazione del film. La sceneggiatura è di Melville e nei materiali del film, che si trovano nelle schede di decine di recensioni e libri, si scrive che è tratto da un libro: The Ronin di Joan McLeod. Il libro non esiste. La pagina di discussione della voce inglese del film su Wikipedia riporta il viaggio interminabile di alcuni editor per cercare di trovare la fonte, senza successo. Qualcuno ha persino chiesto all’ufficio stampa di Alain Delon e Delon ha risposto di non aver mai discusso con Melville di questo libro. Evidentemente è una messa in scena, come la citazione iniziale a schermo sulla solitudine di un samurai, attribuita a un libro giapponese che non esiste. Il regista ha rivelato che se l’è inventata di sana pianta, per farci entrare nel mondo del protagonista. L’etica samurai ha particolare importanza per lo svolgimento dei fatti nell’ultima parte dei film.
Un film che ha fatto epoca per lo stile di Delon nel film: impermeabile e cappello, sistemato e toccato, messo e tolto ripetutamente durante il film. Lo vedi e capisci subito che sono innumerevoli i film che si sono ispirati a questo personaggio. Non ultimi il fumetto The Killer e il film che David Fincher ne ha trattato, sempre The Killer, uscito nel 2023 per Netflix. Il cinema è un meraviglioso gioco di rimandi e se non hai un minimo di cultura storica, conoscendo i film del passato, tutto questo gioco te lo perdi. Più mi addentro in questo viaggio nel cinema del passato, più comprendo l’eccitazione dei critici nel premiare film nuovi che citano in modo intelligente film d’annata. Del resto lo stesso Melville dice che per fare film bisogna vedere molti film.
In una intervista dichiara di averne visti, da giovane, anche 5 al giorno, come una droga.
Non faccio e non ho intenzione di fare cinema ma capisco cosa vuol dire Melville. Più vedi cinema di un certo livello tecnico – sceneggiatura, scenografia, costumi, luci, sonoro, montaggio, fotografia – più sei in grado di apprezzare il cinema di qualità e più sei in grado di riconoscerlo. In alcuni casi ti può coinvolgere e piacere, in altri meno, ma la qualità tecnica non si discute. Il gusto personale è una cosa, la qualità tecnica un’altra.
Dopo aver visto il film ti consiglio qualche video su YouTube:
C’è chi ha fatto un montaggio del film (no embed) aggiungendo un brano musicale dalla colonna sonora di Drive: Nightcall. Gran lavoro.
Povere creature
Non pago, ieri sono andato subito a vedere Poor Things – Povere creature, al primo giorno in sala in Italia. Conosco bene il cinema di Lanthimos per aver visto tutti i suoi film, eccetto l’opera prima che vedrò a breve. Povere creature non mi ha deluse, nonostante le altissime aspettative. Non ci sono spoiler in ciò che scrivo a seguire. La storia è matta, ma questo è normale per le storie che racconta Lanthimos e quindi non mi ci soffermo per nulla. Ciò che strabilia è la cura per i dettagli. La scenografia è (credo) al 100% ricreata in studio e sembra una favola disegnata e colorata, salvo la prima parte in bianco e nero. Probabilmente c’è molto uso di computer grafica o, come per i film degli anni ’30 e ’40, come Il mago di Oz, molti sfondi sono disegnati o lo sembrano. La musica sottolinea lo stato d’animo e l’atmosfera in ogni momento del film. Non è una colonna sonora da ascoltare senza film, non ha senso.
Il messaggio è molteplice. C’è l’emancipazione della donna e, cosa che mi ha trasportato ancor di più, una spinta decisa all’idea di migliorare, migliorarsi, sperimentare, imparare, sempre. Il percorso della protagonista è esattamente questo, verso l’emancipazione come donna e soprattutto come esploratrice del mondo, dell’ignoto, mossa da una curiosità innata. Un invito a scoprire il mondo, a cercare strade nuove, senza pregiudizi, senza paraocchi, senza preconcetti. Magnifico.
Anche oggi “doppio spettacolo”: All of us strangers di Andrew Haigh e La zona di interesse di Jonathan Glazer. Ne riparliamo di sicuro.
I 30 minuti sono ormai passati. Tempo di dedicarmi ad altre esperienze.
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